L’intervento reso possibile grazie al mecenate Giampaolo Cagnin. Il dipinto di Domenico Veneziano potrà essere ammirato in anteprima il 21 dicembre alla Fortezza da basso, poi a gennaio ritornerà agli Uffizi
Con il rosa surreale dell’architettura, il verde luminoso delle pareti e l’azzurro del manto della Madonna, torna a splendere il delicato cromatismo della Pala di Santa Lucia dei Magnoli, capolavoro del grande maestro rinascimentale Domenico Veneziano databile intorno al 1445.
Il dipinto è stato restaurato dall’Opificio delle Pietre Dure grazie al finanziamento, mediante Art Bonus, da parte del mecenate Giampaolo Cagnin, che ha voluto così omaggiare la memoria della moglie Anne Marie Bauer, restauratrice impegnata nel salvataggio delle opere d’arte dopo l’alluvione che colpì Firenze nel 1966. Il delicato intervento è iniziato nel 2019. Sarà possibile anche per il pubblico vedere l’opera in anteprima il 21 dicembre, nelle fasce orarie 10-13 e 14-16 presso il Laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso (accesso gratuito, necessaria la prenotazione su https://opd-effettorestauro.eventbrite.it). Il suo ritorno alla Galleria degli Uffizi, nelle sale della Pittura del Quattrocento al secondo piano, è previsto nei primi mesi del prossimo anno.
“Quando ho rivisto la tavola nei Laboratori della Fortezza – racconta La soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure Emanuela Daffra ho detto a Oriana Sartiani: ‘è come se la vedessi per la prima volta’. Eppure è un dipinto che conosco, ho studiato ed amo. Tuttavia il lavoro insieme minuzioso e discreto, che ha saputo tenere in equilibrio una pittura che ha sofferto, recuperando limpidezze senza premere sul pedale della pulitura o senza nascondere svelature, ci restituisce la scansione dei piani, lo snodarsi dei profili, la fantastica ricchezza di dettagli (invito tutti a osservare il piviale di San Zanobi) con una nitidezza inedita”. Tra le opere più suggestive del primo rinascimento italiano nonché unica tavola firmata dal Veneziano (che con fierezza appone l’iscrizione “OPVS DOMINICI DE VENETIIS” sul bordo inferiore) la Pala dei Magnoli fu commissionata per l’altare maggiore della chiesa di Santa Lucia dei Magnoli in via de’ Bardi dalla famiglia fiorentina dei Capponi.
Le figure sono disposte entro un porticato realizzato con accurata resa prospettica e caratterizzato da colori luminosissimi: bianco, verde, azzurro e rosa che conferiscono alla scena una dimensione magica e sovrannaturale. All’interno del porticato, la Madonna col Bambino è affiancata dai Santi Francesco, Giovanni Battista, Zanobi e Lucia. La santa regge un piatto su cui sono presentati i suoi stessi occhi, simbolo del martirio cui venne sottoposta. Oltre la partitura architettonica, sullo sfondo, si vedono le chiome di tre alberi di arancio, la cui presenza unisce al significato simbolico –la fecondità spirituale – un riferimento all’importazione di questa particolare specie arborea, attestata in quegli anni da documenti della famiglia Medici. La Palaentrò a far parte della collezione delle Gallerie degli Uffizi nel 1862, già priva della predella composta da cinque scomparti raffiguranti l’Annunciazione; San Francesco che riceve le stigmate; San Giovanni Battista nel deserto; il Miracolo di san Zanobi e il Martirio di santa Lucia (oggi divisi tra la National Gallery of Art di Washington D.C., il Fitzwilliam Museum di Cambridge e gli Staatliche Museen di Berlino). Un’antica operazione di drastica pulitura, risalente al suo ingresso nel museo, con successiva patinatura a colla, aveva impoverito la pellicola pittorica, facendo perdere brillantezza ai colori e conferendole un aspetto opaco e arido. Oggi, dopo il restauro portato a termine dal Laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure, si può a tutti gli effetti parlare di un dipinto “ritrovato”.
“Si è trattato di un lavoro di grande difficoltà – aggiunge il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt, possibile grazie alla generosità di un mecenate come Giampaolo Cagnin, che ha compreso la delicatezza dell’impresa, e all’altissima professionalità dell’Opificio delle Pietre Dure e dei suoi restauratori. La competenza e l’acume scientifico richiesto da questo restauro hanno dato risultati insperati, che ora ripagano anche la pazienza dei visitatori che per tre anni, a causa delle interruzioni dovute al lockdown, non hanno potuto ammirare il dipinto nelle sale degli Uffizi. Il suo aspetto ora fa dimenticare le condizioni in cui era prima e ci permette di comprendere meglio il grande impatto di Domenico Veneziano sulla pittura italiana del Quattrocento”.