Sei toscani su dieci acquisteranno capi di abbigliamento in saldo. Prevista una spesa media pro-capite di 133 euro. Ma Confartigianato chiede regole ferree sull’ E-commerce e un tavolo in Regione
Sei toscani su dieci acquisteranno capi di abbigliamento in saldo. A crescere in maniera decisa sarà invece l’importo medio pro-capite di spesa: 133 euro. Una cifra ancora lontana dai 160 euro del 2020, ultimo inverno pre-Covid, ma pur sempre in aumento rispetto agli ultimi due anni (119 nel 2022 e 115 nel 2021). In totale, il volume d’affari generato in Toscana dalle vendite di fine stagione, che partiranno il 5 gennaio e dureranno 60 giorni, potrebbe superare i 292milioni di euro, 21 in più dello scorso anno. È quanto emerge dallo studio previsionale effettuato da Confcommercio Toscana sui dati nazionali di Federmoda-Confcommercio. Un risultato a prima vista positivo, ma che in realtà nasconde un fattore di crisi.
“I toscani hanno speso meno durante la stagione normale per calzature e abbigliamento, ora sono pronti a fare acquisti approfittando degli sconti”, spiega il presidente di Federmoda-Confcommercio Toscana Paolo Mantovani. “Tra aumento dei costi energetici, inflazione in salita, preoccupazione per il futuro, questo ultimo scorcio del 2022 non ha certo favorito lo shopping nel settore moda. A rallentare le vendite ci si è messo anche il clima, ancora particolarmente mite ma addirittura quasi estivo fino all’inizio di novembre”.
Per movimentare gli affari, tanti puntano quindi su offerte e promozioni, come dimostra il successo crescente del Black Friday e, si spera, anche dei saldi. “Il problema è che questi momenti sono più utili alla liquidità di cassa che non ad incrementare i ricavi delle nostre imprese”, sottolinea Mantovani, “ma vogliamo guardare avanti con fiducia certi che il mercato si riprenderà. Chi ha conservato il proprio potere di spesa vuole trattarsi bene, nonostante la crisi: dopo i due anni di pandemia è tornato a mangiare fuori, a viaggiare, a concedersi qualche autogratificazione”. Due le parole chiave secondo il numero uno di Federmoda-Confcommercio Toscana: qualità e comodità. “I clienti cercano capi che possano durare a lungo nell’armadio, portabili in tante occasioni sia climatiche sia d’uso. Con una predilezione per quelli più comodi da usare nella quotidianità, come le sneakers o la maglieria. La vendita dei piumini è in difficoltà per ovvie cause climatiche, in compenso si sono riscoperti cappotti, mantelle, poncho e sciarponi da indossare con fantasia e massima praticità”.
“Negli ultimi anni – osserva ancora – i consumatori nella moda si sono distinti in due grandi categorie: chi acquista in ogni periodo dell’anno e chi invece concentra le spese solo nelle occasioni di ribasso, per ottimizzare l’investimento. Un dato di fatto è che molti hanno rallentato gli acquisti nel periodo natalizio, proprio per aspettare i saldi”. I negozi della moda interessati al fenomeno saldi sono oltre 26mila in Toscana tra calzature, abbigliamento, pelletterie, articoli sportivi, intimo e tessile. A dicembre i punti vendita hanno registrato un movimento maggiore, soprattutto nelle città d’arte prese d’assalto dai turisti. Secondo Confcommercio Toscana proprio i turisti, soprattutto quelli stranieri, in alcune località potrebbero spostare l’ago della bilancia aumentando il volume d’affari complessivo.
Si attende un incremento del 5-10% in più di vendite anche Paolo Gori, vicepresidente di Confartigianato Imprese Firenze. “Per tutti noi è un’occasione per abbassare il magazzino, i consumatori hanno invece l’occasione di comprare un buon prodotto, visto che l’inverno è appena iniziato, con uno sconto dal 20-40% per i prodotti di questa stagione; sconti più alti potrebbero nascondere prodotti un po’ più datati”. Per Gori, inoltre, servono regole uguali per tutti perché “oggi siamo in una vera e propria giungla e subiamo una concorrenza molto spesso sleale da parte dell’e-commerce. Per questo chiediamo condizioni di partenza uniformi per tutti e controlli per tutti. Occorre, insomma, regolamentare l’e-commerce come il commercio tradizionale: stesse regole, stessi oneri fiscali. Lo si può fare a partire da un tavolo in Regione, dove si scrive materialmente il codice del commercio, per poi farsene promotori a livello nazionale”.