Fino al 1° Settembre la Galleria Poggiali propone la prima mostra personale in Italia di Karel Appel (1921-2006) in collaborazione con la fondazione omonima di Amsterdam. Karel Appel, fondatore del gruppo CoBrA, è riconosciuto come figura essenziale del panorama artistico internazionale
Picasso diceva che gli ci era voluta tutta la vita per dipingere come un bambino; il gruppo di artisti denominato Cobra (un acronimo che indicava le città d’origine dei singoli pittori: Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam), formatosi nel 1948, in qualche modo fece suo questo concetto, invadendo Parigi, peraltro senza successo, con opere accese di colori, dinamiche considerate irriverenti nei confronti dell’arte convenzionale.
Alechinsky, Appel, Constant, Corneille, Jorn e altri forse allora non immaginavano che avrebbero attraversato un secolo imponendosi negli anni come nuova figurazione espressionista, dopo l’impatto che aveva avuto l’espressionismo nordico dei giganti Ensor, Munch, Nolde, Peckstein. Ma alla fine degli anni Quaranta l’Europa non era pronta per le violente sciabolate di colore che non rassicuravano l’animo e anzi lo inquietavano dopo i drammi della guerra. Fu una coraggiosa galleria fiorentina, Michaud, che nel 1968 presentò Cobra a Firenze per la prima volta, suscitando grande interesse e le solite polemiche. In quegli anni il gruppo si era già sciolto e stava emergendo Karel Appel con la sua irruenza gestuale che portava le apparenze antropomorfe al limite dell’informale. Una linea espressiva che possiamo riscontrare nelle opere che la Galleria Poggiali espone nei suoi due spazi di via della Scala e via Benedetta, a cura della fondazione Appel. Una trentina di opere tra dipinti, sculture e carte: un’esposizione che avrebbe meritato un museo o comunque una struttura pubblica e che si articola attraverso lavori realizzati tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Novanta. Dipinti di grandi dimensioni e forte impatto; sculture in forma di inquietanti assemblaggi. Certo le opere plastiche appaiono meno libere e anche influenzate in maniera evidente dal lavoro di altri espressionisti coevi, ma le dense e luminose paste di colore ci ricordano uno dei motti del gruppo Cobra: “Una pittura non è una costruzione di colori e linee. È un animale, una notte, un uomo, o tutto questo insieme”.
La pittura di Appel ancora oggi risulta non convenzionale e senz’altro più “avanti”, come si dice, di tante trovate spettacolari che si fregiano del titolo di arte. Sarà anche per questo che da decenni il valore dei suoi quadri si aggira costantemente intorno a centinaia di migliaia di euro. Ma a volte è la storia che conta. Più delle quotazioni d’asta. Il gusto di oggi, del resto, è anche fatto, in una delle sue componenti, da quelle esperienze che trasformano la figura umana in una maschera carica di significati diversi e contrastanti, dall’ironia al dramma, modificando perfino l’idea dell’ambiente in cui si doveva fissare questa figura e insomma contribuendo a demistificare quel modello ideale di uomo, per la verità corrotto e distrutto in molte sue tradizionali strutture mentali e abitudini fisiche. È un mondo in mutamento, ma i riferimenti artistici restano legati alla capacità di esprimere dal profondo.
Idealmente affine alla grande esposizione di Kiefer in Palazzo Strozzi, la mostra di Appel pone comunque l’accento sul valore di opere significative e storicamente pregnanti. Mondi lontani da quanto traghettato in questa città da un mercato che si è fatto sempre più spregiudicato e globalizzato.