Da domani aperta al pubblico la mostra che prova a far luce, anche grazie alle sofisticate tecnologie utilizzate, sulla provenienza dei numerosi esemplari esistenti
Nove teste in fila l’una dopo l’altra e un affascinante mistero storico e artistico da risolvere: a quando effettivamente risalgono e soprattutto da dove provengono. Da domani è aperta al pubblico la mostra Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra a cura del direttore Cecilie Hollberg, realizzata con la sponsorizzazione di Intesa Sanpaolo – con i musei Gallerie d’Italia, e Intesa Sanpaolo Innovation Center. Per la prima volta infatti sono esposti in un’unica sede i nove busti in bronzo di Michelangelo, attribuiti a Daniele da Volterra. Insieme alle tre opere già conservate a Firenze (Galleria dell’Accademia, al Museo Nazionale del Bargello e a Casa Buonarroti), sono arrivati importanti prestiti da vari musei internazionali e italiani come il Musée du Louvre e il Musée Jacquemart-André a Parigi, l’Ashmolean Museum a Oxford, i Musei Capitolini a Roma, il Castello Sforzesco-Civiche Raccolte d’Arte Applicata a Milano e il Museo della Città “Luigi Tonini” a Rimini. La mostra resterà aperta fino al 19 giugno.
“L’idea di questa esposizione – spiega Hollberg – nasce dall’esigenza di dare un contributo scientifico rispetto al complesso rapporto tra originali e derivazioni. Si tratta di un evento unico e inconsueta che si pone l’obiettivo di rispondere a quesiti ancora aperti grazie anche all’utilizzo di strumenti altamente tecnologici e innovativi. Punto di partenza di questo progetto epocale su Michelangelo Buonarroti e il suo allievo Daniele da Volterra, è stato il riordino e il restauro del busto conservato nel nostro Museo, avvenuto nel 2017. A distanza di quasi cinque secoli, è ora di trovare delle risposte“.
Tutti gli esemplari sono stati analizzati in modo non invasivo, sia in maniera classica che con sofisticati strumenti di ultima generazione e con metodologie innovative. Ogni testa è stata digitalizzata e stampata in 3D in resina in scala 1:1; è stata digitalmente “mappata” nei punti chiave e nelle corrispondenze, sovrapposta e confrontata in un lavoro di ricerca unico nel suo genere, che ha unito per la prima volta l’esperienza digitale al rigore accademico nell’individuazione delle opere originali. Per aiutare il confronto, sia agli occhi degli esperti che tramite software di machine learning, per l’esposizione i busti in resina sono stati allineati seguendo una linea immaginaria ricercata e tracciata lavorando sulle stampe 3D.
Daniele Ricciarelli, detto da Volterra (1509 – 1566), fu allievo di Michelangelo e a lui era legato da profonda amicizia tanto da essere presente alla morte del maestro nella casa romana a Macel de’ Corvi, il 18 febbraio 1564. Leonardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, gli commissionò, subito dopo, due ritratti in bronzo dello zio e all’incarico dell’esecuzione di questi due busti si aggiunse una terza richiesta avanzata dall’amico e antiquario Diomede Leoni. Il da Volterra morì nel 1566 senza aver rifinito le tre teste promesse a Buonarroti e a Leoni, come risulta dai documenti, redatti a partire dal giorno dopo la sua morte. Il problema della cronologia e della fusione delle effigi è rimasto da tempo un punto da chiarire nell’ambito degli studi di storia dell’arte: c’è infatti una sostanziale incertezza circa la provenienza dei numerosi esemplari esistenti.
Proprio per sottolineare l’alto valore scientifico dell’evento lunedì 21 febbraio è in programma una giornata di studio in cui saranno coinvolti i maggiori esperti. Lo scopo è il primo catalogo scientifico delle effigi in bronzo attribuite a Daniele da Volterra, edito da Mandragora,che uscirà dopo la giornata di studi, dove confluiranno le ricerche finora eseguite e i risultati delle indagini diagnostiche, fornendo uno strumento indispensabile per gli studi.
Le foto dell’allestimento della mostra sono di Guido Cozzi e quelle delle effigi di Arrigo Coppitz