L’INTERVENTO – Prosegue il dibattito innescato dal progetto di riqualificazione di via Cavour approvato da Palazzo Vecchio che prevede oltre la pedonalizzazione della strada anche l’inserimento di un “aranceto”. Sul tema l’intervento di Italia Nostra che riproduciamo per intero
Sul caso delle reazioni al progetto di “riqualificazione” di via Cavour mediante pedonalizzazione, rifacimento del piano stradale e messa a dimora di un doppio filare di aranci – un progetto importante ma come è ormai tradizione di questa amministrazione comunale elaborato nel modo più clandestino e annunciato nella sua realizzazione come un giuoco di prestigio – riteniamo cosa importante e positiva che 40 e più esponenti della cultura e della società civile abbiano manifestato il loro dissenso e, motivandolo con argomenti puntuali, abbiano richiesto di rivederlo.
Invece, estremamente preoccupante ci sembra la reazione del Sindaco che risponde in modo stizzito e con argomenti che denotano profonda ignoranza culturale su cosa sia la città che amministra. Altrettanto preoccupante ci sembra che questa reazione abbia trovato come difensori anche due illustri esponenti della cultura che riscuotono molto credito mediatico, come lo storico dell’arte Tommaso Montanari e lo scienziato Stefano Mancuso. Questi ultimi intervengono su una questione che, come ha ricordato il medico epidemiologo Marco Geddes da Filicaia nel suo intervento del 15 agosto us sul “Corriere Fiorentino”, riguarda eminentemente la pianificazione urbanistica e la tutela del patrimonio storico artistico. E’ accaduto che i due si sono addirittura scambiati i ruoli: lo storico dell’arte ha proposto, per fare ritornare vivibile il centro storico, una vasta operazione di forestazione in tante piazze e strade, mentre il secondo giustifica la messa a dimora degli aranci amari chiamando a sostegno della loro bellezza la tradizione iconografica rinascimentale e in particolare Paolo Uccello (ma perché prof. Mancuso non citare un altro famoso autore come Botticelli e i bellissimi pini che fanno da sfondo alle sue illustrazioni della novella di Nastagio degli Onesti?).
L’altro argomento da entrambi richiamato è quello dei cambiamenti climatici e delle isole di calore, anche se solo enunciate nelle statistiche generali (la mortalità in Europa e in Italia), senza però un riferimento preciso, in termini di misure e dati, all’area fiorentina e ai quadranti urbani di cui si parla. Vorremmo ricordare che questi problemi della salute dei cittadini erano già presenti anche 150 anni fa quando con le nuove acquisizioni di igiene e i progressi della medicina si era iniziato a intervenire sui centri storici antichi con opere di “riqualificazione” allora dette di “risanamento” che oltre al decoro urbano affrontavano questioni gravissime a livello sociale come le epidemie e le patologie che favorivano un’alta mortalità. E anche allora per i centri storici si manifestarono due differenti modelli di intervento: quello degli sventramenti del tessuto edilizio per la creazione di nuove ampie strade, utili alla sempre più complessa mobilità urbana e alla sua ventilazione e a fare respirare le residenze; quello che, rispettando l’originario reticolo stradale e degli isolati dei centri storici, interveniva liberando le corti interne eliminando le sopraelevazioni o gli addossamenti frutto della speculazione edilizia. Una prospettiva, questa, che, teorizzata da Gustavo Giovannoni per opporsi agli sventramenti del ventennio fascista e attuata in modo significativo nel piano di risanamento di Bergamo Alta, progettata e diretta da Luigi Angelini; poi entrò nella più recente elaborazione teorica delle linee guida per la tutela dei centri storici (dalla Carta di Gubbio, alla Carta di Venezia, a alla Carta Italiana del restauro).
Di fronte alle nuove emergenze climatico-sanitarie i due esperti venuti in soccorso al Sindaco per gli aranci di via Cavour sembrano di nuovo riproporre un approccio che non lascia spazio ad un serio dibattito scientifico su dati precisi che stabilisca, alla fine di un percorso di confronto pubblico, un’unica possibilità di intervento. Il richiamo effettuato da Mancuso e Montanari alle le isole di calore nei centri urbani e l’aumento – purtroppo – del tasso di mortalità negli ultimi anni a causa delle alte temperature è quanto mai veritiero, nonché la funzione di mitigazione microclimatica svolta dalle alberate in città. Solo che fare di una quarantina di aranci propagandisticamente sbandierati dal primo cittadino di Firenze quale deterrente anti calore, vuol dire non sapere o non volere riconoscere ciò che è greenwashing a buon mercato, rispetto, invece, alla pianificazione del verde in città, pianificazione che non c’è, un Piano del Verde che non c’è, nonostante un POC in fase di approvazione. E ancor più stupisce che l’urgenza per la difesa della salute dei cittadini non abbia ancora portato il prof. Mancuso ad una presa di posizione nella quale si sia denunciato il fatto che mentre si lanciano slogan ad effetto, l’Assessorato all’Ambiente sistematicamente abbatte alberate di piante di prima grandezza che, mediamente, hanno una proiezione al suolo di almeno 154 m2, ed una copertura d’ombra che solo una pianta adulta può garantire e non un alberello di neo-impianto.
Il prof. Mancuso sa benissimo che i benefici ecosistemici sono in funzione di età, specie botanica e architettura della pianta, etc, e non si può far passare il concetto che pur si pianti, va bene tutto. L’altro concetto -tra l’altro mai espresso – è quello di ridurre più possibile il depauperamento del patrimonio arboreo esistente e favorire l’espandersi di aree verdi senza soluzione di continuità spaziale laddove i benefici ecosistemici sono comunitari o di piccoli popolamenti arborei. Per la forestazione urbana, come sanno tutti quelli che hanno una cultura orticolo/giardiniera, un elemento primario è la disponibilità di terra, di buona terra. Le politiche dell’Amministrazioni comunali di questi ultimi 30 anni hanno invece proseguito nella cementificazione e nel consumo di suolo per cui siamo costretti oggi ad inventarci il verde sulle pareti e sui tetti. Come possiamo accampare giustificazioni ecofisiologiche ben sapendo che il filare – in terra o in vaso di aranci – non risolverà di certo il caldo del centro cittadino e nemmeno quello di via Cavour? Se c’è una sgrammaticatura, questa consiste nel fatto che non ci si può nascondere dietro un’invenzione di mezza estate quando, in termini di protezione della popolazione residente dalle alte temperatura, si fa il contrario di ciò che si pubblicizza ovvero si abbattano più alberi possibile, si riducono gli spazi cittadini che potenzialmente potevano essere destinati a verde.
Addirittura si distruggono, senza un motivo valido, importanti segmenti di reti ecologiche della città come quello lungo Viale Redi: un caso emblematico in cui, come documenta una misurazione effettuata da un docente dell’Università di Pisa per Italia Nostra Firenze, le temperature, che sono state registrate a seguito dell’abbattimento del filare dei pini, sono testimonianza di una politica ambientale in città del tutto schizofrenica, che si inventa i filari di aranci mentre lascia bollire i cittadini e favorisce, ampliandolo, il fenomeno delle isole di calore in periferia distruggendo il verde esistente e tutto ciò per ragioni esclusivamente infrastrutturali (opere stradali, rete dei sottoservizi, trasporti urbani). Il caso ormai noto di Viale Redi è dunque paradigmatico, con quelli analoghi, attualmente in corso, di Via Mariti, di viale Lavagnini, di via Don Minzoni, per non citare quelli passati di via dello Statuto, dei viali Corsica, Belfiore, del Tempio e Aldo Moro, e quelli futuri del Viale dei Mille, Malta, Duse.
Le emergenze climatiche e la tutela della salute dei cittadini, che per una città come Firenze sono da coniugare alla tutela del patrimonio culturale, dovrebbero favorire una politica del verde urbano che come richiesto dalla legge 10/2013. Si deve puntare prima di tutto alla conservazione del patrimonio arboreo adulto esistente, e poi al suo incremento privilegiando non il quanto si pianta, ma cosa, dove, come si pianta e soprattutto su chi si prende cura delle nuove piante messe a dimora. Da qui una proposta molto concreta volta a garantire un requisito essenziale e ineludibile per conservare e potenziare un bene così strategico per la vita in città: si abbandoni la politica perseguita anche dalle giunte Nardella di esternalizzazione al ribasso di un servizio di questa importanza e si impieghi una parte dei milioni di euro che si investono in queste operazioni di greenwashing (ecologismo di facciata ndr) nella ricostituzione di un servizio giardini comunale che abbia in organico almeno un tecnico giardiniere ogni 200 alberi di proprietà pubblica. Considerato il patrimonio arboreo esistente, che si dice di volere incrementare rapidamente, vuol dire avvalersi in un prossimo futuro di un organico di 500 giardinieri di ruolo. Solo così possono essere credibili i tanti richiami a piantare, piantare, piantare alberi.
Lorenzo Orioli e Mario Bencivenni, gruppo di lavoro sul “Verde urbano” di Italia Nostra Firenze.