In “Smarriti” 36 opere dell’artista fiorentino, esposte nell’Andito degli Angiolini, trasmettono il disorientamento dell’attuale momento storico senza perdere la speranza nel futuro
L’arte contemporanea torna nella reggia di Palazzo Pitti: stelle decapitate dalla forma irregolare, chiodi stretti e lunghi, sagome nere che vagano senza meta. È Smarriti, mostra del fiorentino Franco Ionda, organizzata dalle Gallerie degli Uffizi ed accolta nell’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti dal 12 ottobre al 12 dicembre. Il titolo, particolarmente calzante nell’attuale momento storico, segue in realtà una riflessione cruciale nella poetica dell’artista e si combina con gli altri argomenti della sua produzione, tutti ampiamente rappresentati dalle 36 opere esposte. Le sue stelle decapitate, i chiodi, gli sbandati si contaminano infatti con altri temi cardine della sua riflessione: il dramma dei migranti, dei prigionieri, dei reduci di guerra, delle madri nei territori di confino.
L’ispirazione di Ionda sono i versi finali del poema di Vladimir Majakovskij La nuvola in calzoni (1914-15) “Guardate! Hanno di nuovo decapitato le stelle / e insanguinato il cielo come un mattatoio”: una potente metafora sulla quale l’artista costruisce un ventaglio di invenzioni originali che trovano la loro più compiuta espressione simbolica nelle stelle decapitate. Realizzate in alluminio, questi astri caduti e spezzati partecipano alla denuncia e al riscatto dell’umanità insieme ad ammassi di chiodi lunghi e affilati. Sulle pareti ottocentesche dell’Andito degli Angiolini in Palazzo Pitti, questi elementi dialogano con le immagini dei migranti e delle madri profughe prelevate dai mass media, ma soprattutto con una serie di silhouettes nere, messaggio universale che va oltre i singoli eventi storici: schiere di uomini costretti a vagare senza meta, marines degradati a soldatini, teste “vuote” di generali allo sbando.
Sono loro i veri protagonisti della mostra, gli Smarriti del titolo. Tuttavia nell’arte di Ionda il caos, il disequilibrio, l’oscurità non sono mai privi di speranza: in Ambigua, la figura del lanciatore è infatti colta nell’atto di rilanciare le stelle in cielo, proprio con l’intenzione che esse possano tornare a illuminare la notte. “A Palazzo Pitti – commenta il direttore Eike Schmidt – arriva l’universo di immagini di Franco Ionda, artista che reagisce alla perdita di riferimenti di oggi tramite un fitto repertorio di forme, di rimandi letterari, di invenzioni, che servono a scuotere gli animi, senza dimenticare la centralità dell’uomo e la sacralità della vita. Le opere di Ionda ci ricordano infatti come l’umanità intera abbia ormai abbandonato la stanzialità, e si trovi nel mezzo di un cammino quasi dantesco, senza diritta via, tra le stelle e i chiodi, e – con l’ultimo verso della Divina Commedia – mossa da nient’altro che l’amore”.
Nato nel 1946 a Firenze, Ionda tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento frequenta l’Accademia di Belle Arti. Dopo un breve periodo figurativo, approda a un linguaggio astratto, lirico-espressionista, che successivamente si concentra su strutture geometriche in metallo e superfici lavorate con diverse tecniche e materiali. Dagli anni Ottanta in poi espone in Italia, Stati Uniti, Germania, Austria, Svizzera, Belgio, Finlandia, Russia, Argentina, India, Corea del Sud e Francia. Al 2015 risale la donazione del suo autoritratto alle Gallerie degli Uffizi.