Il presidente dell’Ordine dei Medici: “Dati preoccupanti. Andiamo verso una sanità divisa in due: chi ha i soldi si cura, chi non ce li ha passa la mano”
Quasi il 7% delle famiglie toscane nel 2022 ha rinunciato a curarsi per motivi economici. Il 16,7% di quelle italiane poi hanno limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici. E’ l’allarme lanciato dal presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze Pietro Dattolo commentando l’indagine della Fondazione Gimbe “Sono dati molto preoccupanti – dice -, credo che con l’autonomia differenziata questa situazione sia destinata a peggiorare. Andiamo verso una sanità divisa in due: chi ha soldi si può curare, chi non li ha rinuncia a curarsi. E’ una amara constatazione per noi medici che amiamo il servizio sanitario nazionale”.
L’indagine di Gimbe, spiega la Fondazione, analizza le dimensioni dell’impatto della spesa sanitaria out-of-pocket, ovvero quella sostenuta direttamente dalle famiglie, sui bilanci familiari. In particolare, si concentra su spesa sanitaria out-of-pocket, impatto della spesa per la salute sulle famiglie, limitazione delle spese per la salute, indisponibilità economiche temporanee delle spese per la salute, rinunce a prestazioni sanitarie e povertà assoluta. Gimbe spiega che nel 2022 il 16,7 per cento delle famiglie italiane dichiarano di avere limitato la spesa per visite mediche e accertamenti periodici preventivi in quantità e/o qualità. Il Centro, insieme a Nord-Est (10,6%) e il Nord-Ovest (12,8%), si trova sotto la media nazionale, con il 14,6 per cento, mentre tutto il Mezzogiorno si colloca al di sopra. Al Centro il 3,1 per cento delle famiglie, contro il 4,2 per cento nazionale, dichiara di non disporre di soldi in alcuni periodi dell’anno per far fronte a spese relative alle malattie. Infine, l’incidenza della povertà assoluta per le famiglie in Italia, ovvero il rapporto tra le famiglie con spesa sotto la soglia di povertà e il totale delle famiglie residenti, è salita dal 7,7 per cento del 2021 all’8,3 per cento del 2022, ovvero quasi 2,1 milioni di famiglie in Italia. Aumento più contenuto, dello 0,4 per cento, al Centro.
“E’ un trend che è partito da lontano con politiche di privatizzazione del servizio sanitario nazionale – aggiunge Dattolo -. Ha cominciato l’allora presidente del Consiglio Mario Monti dicendo che il servizio avrebbe avuto bisogno del privato e, poi, sempre peggio con un definanziamento progressivo che adesso ha raggiunto i minimi storici. Un definanziamento che non può reggere vista l’epidemiologia che sta cambiando, con persone sempre più anziane e con malattie croniche. Occorre che l’Italia investa come stanno facendo altri Paesi europei”. Dattolo sottolinea di non essere “contro il privato”, ma vede bene un privato “non in contrapposizione con il servizio sanitario nazionale: dove non arriva il pubblico può intervenire il privato – conclude -. Non può esserci concorrenza, altrimenti chi può si cura, chi non può rinuncia perché le liste d’attesa sono lunghissime. Una situazione, inoltre, che si traduce in una maggiore spesa: perché se identifichiamo una patologia e la curiamo prontamente spendiamo meno soldi che identificandola fra due anni, quando si sarà cronicizzata. Lo ripetiamo da anni, e lo ripetono anche gli economisti: per ogni euro investito in sanità se ne guadagnano immediatamente quasi due”.