E sono in tanti gli ex renziani che non seguiranno il leader sulla strada della nuova formazione politica
Il copione, in fondo, è sempre lo stesso: stai sereno. Ma stavolta non c’è Enrico Letta nei panni del tradito e pugnalato alle spalle. Il suo posto è stato preso da Giuseppe Conte al quale nemmeno 72 ore prima aveva detto di non preoccuparsi di nulla malgrado i rumors sempre più insistenti di una possibile scissione.
Matteo Renzi, l’ormai ex senatore Pd di Scandicci, è fuori dal partito: un’idea che accarezzava almeno da tre anni. Da quando cioè fu beccato a parlottare fitto fitto con l’allora patron della Fiorentina Diego della Valle in una trattoria storica della periferia fiorentina, dove tra l’altro si mangia benissimo.
Naturalmente i due dissero che si trattava soltanto di discorsi che avevano al centro i Viola, il campionato e il nuovo stadio da costruire, ma a più di un osservatore non era sfuggita la particolare circostanza in cui si svolgeva quel colloquio: subito dopo la batosta rimediata dal ragazzo di Rignano nel referendum costituzionale che portò alle sue dimissioni da premier e alle successive elezioni che dettero vita al Governo Gentiloni.
Insomma Renzi da un po’ pensava di lasciare la casa Democratica, nella quale per sua stessa ammissione aveva detto di non ritrovarsi più. “Uscire dal partito sarà un bene per tutti. Anche per Conte” ha ripetuto ancora stamani in una lunga intervista anticipatrice uscita su Repubblica.
Ma quello che forse non è stato ben colto è che con la mossa di stamattina, dopo essere stato l’abile regista dietro le quinte di tutta l’operazione che ha portato il Pd ad allearsi con il Movimento 5 Stelle in un’intesa considerata da molti come un matrimonio contro natura dal destino già scritto (lo era del resto anche quello dei Grillini con la Lega), Renzi potrebbe aver dato il colpo decisivo al dissolvimento del centrosinistra a tutto vantaggio di una nuova formazione politica più spostata al centro che andrebbe dunque ad occupare uno spazio per il momento sguarnito e buon serbatoio di voti in vista di future consultazioni elettorali: non dimentichiamo che a distanza di pochi mesi l’una dall’altra Umbria, Emilia Romagna e Toscana dovranno rinnovare i Consigli Regionali.
Starà al Pd, libero adesso da una zavorra molte volte ingombrante, muoversi e ritrovare un po’ di quell’orgoglio appannato e spesso soffocato per il cosiddetto “interesse superiore del Paese”. Basta girare qualche circolo per toccare di persona l’insoddisfazione per l’accordo che ha portato alla costituzione del Conte bis e la difficoltà a ingoiare un rospo forse troppo grosso anche per il militante più convinto. C’è poi da vedere non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello locale, quanti saranno quelli che andranno con Renzi nel nuovo raggruppamento che avrà il suo battesimo alla Leopolda di ottobre.
Solo per restare in Toscana alcuni “No” pesanti sono già arrivati: il sindaco di Firenze Dario Nardella e il suo collega di Prato Matteo Biffoni; il senatore Dario Parrini ex segretario regionale Pd e l’ex ministro Luca Lotti un tempo renzianissimo e adesso fautore di Base Riformista con Lorenzo Guerini. Forse non tutti i mali vengono per nuocere.