Magnani, Oculisti e Raddi reinterpretano un classico e una favola senza tempo, mentre Lino Musella dà corpo alle parole scritte dal grande commediografo alle istituzioni per il mantenimento del suo teatro
Brevi, veloci ed efficaci: le favole di Esopo e di Fedro tornano al Teatro di Rifredi domenica 5 febbraio, ore 16:30, reinterpretate in chiave moderna dal regista Andrea Bruno Savelli per il ciclo “Domenica, famiglie a teatro”. E la favola insegna che… la Volpe e l’Uva continua l’avventura di tre giovani protagonisti, interpretati da Fabio Magnani, Diletta Oculisti, Vieri Raddi, che si muovono tra gli scenari della moderna civiltà dell’immagine – attraverso le fantasiose video-scenografie di Giuseppe Ragazzini – per recuperare quei valori perduti, alla cui ricerca parteciperanno direttamente anche i giovani spettatori dello spettacolo. La favola tradizionale – nata in oriente, passata poi in Grecia, a Roma e in tutto l’Occidente – non era solamente un “intrattenimento per bambini”. Era una forma di pedagogia popolare, un modo non pedante o autoritario per tramandare esperienze, anche drammatiche, di vita vissuta, per mettere in guardia da comportamenti irresponsabili o da persone false e avide, o per sbeffeggiare i presuntuosi e gli sciocchi.
I tre giovani protagonisti si rendono conto che al centro di quasi tutte queste favole ci sono degli animali. Animali, però, particolari, dalle caratteristiche umane. Questo perché condividiamo molti comportamenti, compresi quelli più sgradevoli. Vederli in azione in un “mondo da favola”, fatto di animali parlanti, aiuta a esorcizzare sentimenti come l’aggressività e il cinismo, e aiuta a capire che in fondo tutti, uomini e animali, facciamo parte di un unico e imprescindibile universo: quello della Natura. Nella celebre storia della Volpe e l’uva si narra di fallimento e dei limiti che ha ogni individuo. Nella favola troviamo una volpe affamata che, nonostante molti tentativi, non riesce a raggiungere ciò che desidera, ossia un grappolo d’uva, e conclude che quel grappolo probabilmente è ancora acerbo.
Dal 9 all’11 febbraio invece, Lino Musella debutta con Tavola tavola, chiodo chiodo…, progetto fortemente voluto dall’artista napoletano, intrapreso in seguito a riflessioni emerse sulla necessità e sulle sorti del teatro durante la chiusura delle sale. Con l’aiuto di Tommaso De Filippo, da sempre impegnato nella cura dell’eredità culturale della famiglia e nel dialogo intergenerazionale in scena, e grazie alla ricerca storica di Maria Procino, Musella è partito per un viaggio alla riscoperta del grande Eduardo. Il protagonista infatti, presta voce e corpo alle parole scritte dal capocomico nelle lettere indirizzate alle Istituzioni, nel discorso al Senato, negli appunti e nei carteggi relativi all’impresa estenuante per la costruzione e il mantenimento del Teatro San Ferdinando. Il polistrumentista Marco Vidino affianca il vincitore del Premio Le Maschere del Teatro italiano 2022 e del Premio Ubu 2019 come Miglior attore, eseguendo dal vivo le musiche originali dello spettacolo.
«In questo tempo – dice Musella – mi è capitato spesso di rifugiarmi nelle parole dei grandi: poeti, scrittori, filosofi, per cercare conforto, ispirazione o addirittura per trovare risposte al presente; è nato così in me il desiderio di riscoprire l’Eduardo capocomico e – mano mano – ne è venuto fuori un ritratto d’artista non solo legato alla bellezza delle sue opere, ma piuttosto alle sue battaglie donchisciottesche condotte instancabilmente tra vittorie e fallimenti. Tavola tavola, chiodo chiodo… – spiega Musella – sono le parole incise su una lapide del palcoscenico del Teatro San Ferdinando, lapide che Eduardo erige a Peppino Mercurio, il suo macchinista per una vita, che tavola dopo tavola, appunto, era stato il costruttore di quello stesso palco, distrutto dai bombardamenti del ’43». Dunque, un inedito ritratto di artista: Eduardo e le sue battaglie donchisciottesche per il teatro condotte tra poche vittorie e molti fallimenti.