L’opera che fa riferimento all’episodio della Bibbia in cui si narra come l’anziano sovrano, sotto l’influenza delle sue numerose mogli e concubine, si trovò a idolatrare gli dei di ciascuna di loro, è stata donata da Fabrizio e Francesco Guidi Bruscoli
Entra nella collezione della Galleria degli Uffizi un’importante dipinto del Seicento: Salomone incensa gli idoli, realizzato dal pittore fiorentino Bartolomeo Salvestrini. L’opera, donata al museo da Fabrizio e Francesco Guidi Bruscoli, è dedicata alla memoria di Daniela Salvadori Guidi Bruscoli, in occasione degli ottanta anni dalla sua nascita. Il soggetto è l’episodio biblico in cui si narra come Salomone da vecchio si circondò di uno stuolo di mogli straniere: ben settecento principesse e trecento concubine, che lo indussero ad adorare le diverse divinità di ciascuna, per le quali costruì templi e offrì sacrifici. Tale esercizio di idolatria, e il conseguente allontanamento dal Signore, portarono a Salomone una dura punizione divina: lo smembramento del suo regno in due parti. Così si spiega l’iscrizione apposta alla tela: “Mulieres apostatare faciunt sapientes” (“Le donne fanno allontanare dalla retta via perfino i sapienti”), per giunta siglata e datata 1626 dal pittore, Bartolomeo Salvestrini.
“Fabrizio Guidi Bruscoli insieme al figlio Francesco hanno aggiunto un dipinto sublime alle collezioni degli Uffizi, in memoria di Daniela Guidi Bruscoli – commenta il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt – : un atto di generosità che unisce l’amore per la moglie e madre a quello per Firenze e per il museo dove si raccolgono i tesori dei Medici. Nell’opera si condensano i contenuti più seducenti della splendida stagione del Seicento fiorentino: la sensualità, l’opulenza delle materie, l’eleganza dei dettagli memore delle raffinatezze manieriste, i richiami alla scultura e all’oreficeria, e una straordinaria ricchezza di spunti che diventa un inno all’unità delle arti”.
Fiorentino, Salvestrini si formò come artista alla bottega del Passignano e di Matteo Rosselli e fu poi dal 1621 collaboratore di Giovanni Bilivert, che lo ritenne “il migliore di tutti i suoi allievi”. L’opera spicca nella sua produzione per un’impostazione teatrale e una ricchezza compositiva che ricordano i suoi maestri, Francesco Rosselli e e appunto Bilivert. Considerata la breve vita di Bartolomeo Salvestrini, morto di peste nel 1633 ad appena 34 anni, e la rarità dei suoi dipinti nelle collezioni pubbliche, questa “pittura da stanza” è un’importantissima acquisizione per le Gallerie degli Uffizi, che va ad aggiungersi ad alcuni disegni dell’artista nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe e a due suoi dipinti: l’Allegoria della Pittura intenta a dipingere un paesaggio (1624) che gli valse la nomina ad Accademico del Disegno, e il rame con David con la testa di Golia della Galleria Palatina. Il Salomone che incensa gli idoli fu con tutta probabilità commissionato dalla famiglia Pucci. Sempre per i Pucci, Bartolomeo aveva eseguito anche una Pietà, non rintracciata.
Con Matteo Rosselli collaborò agli affreschi nelle residenze medicee del Casino di San Marco e della villa di Poggio Imperiale, dove dipinse le lunette di Deborah e di Esther; per il cardinale Carlo de’ Medici realizzò dipinti raffiguranti Salmace ed Ermafrodito, e Rebecca che veste Giacobbe. Tra il 1625 e il ‘30 dipinse alcune pale d’altare, tra cui l’Annunciazione per la chiesa di Colonnata a Sesto Fiorentino, la Flagellazione per quella di Santa Lucia alla Castellina a Sesto e Santa Verdiana che medita sul Crocifisso ora a Santa Verdiana a Castelfiorentino.