Al Museo del Tessuto di Prato una bellissima mostra propone per la prima volta gli abiti (ritrovati) indossati da Rosa Raisa al debutto scaligero del capolavoro di Puccini e appartenuti al soprano pratese Iva Pacetti
Un baule misterioso. Un soprano pratese star della lirica tra il 1920, quando debuttò al teatro Metastasio in Aida, e il 1947 quando invece improvvisamente decise di abbandonare le scene. Una trentina di costumi bellissimi tra cui ne spiccano due (con relativi gioielli) disegnati e realizzati dal costumista del Teatro alla Scala Luigi Sapelli (in arte Caramba) per la prima assoluta dell’opera e indossati da Rosa Raisa, primo soprano della storia a interpretare il ruolo di Turandot. Gli enigmi come vuole la Principessa di gelo nella penultima scena del secondo atto sono sempre tre. Ma stavolta il principe ignoto non dovrà rischiare la vita per risolverli e noi spettatori strabiliati davanti a tanta bellezza sbatteremo una volta di più i nostri occhi increduli.
Già perché Turandot e l’Oriente fantastico di Puccini, Chini e Caramba, la mostra che si inaugura dopodomani 22 maggio al Museo del Tessuto di Prato e sarà visitabile nel rispetto delle norme anti Covid fino al prossimo 21 novembre, di segreti e suggestioni ne propone numerosi. A cominciare da quel baule di cui si diceva all’inizio e da cui tutto è cominciato. Erano i primi mesi del 2018, quando al Museo venne proposto di acquisire un cassone contenente materiale eterogeneo proveniente dal guardaroba privato del grande soprano pratese Iva Pacetti. Gli studi condotti dalla conservatrice del Museo, Daniela Degl’Innocenti, hanno permesso successivamente di identificare un nucleo di costumi e gioielli di scena risalenti alla prima assoluta della Turandot di Puccini. Da qui ha preso forma un progetto ambizioso: ricostruire la genesi complessiva dell’opera e le vicende che hanno portato Giacomo Puccini a scegliere lo scenografo Galileo Chini per il battesimo di Turandot andata in scena al Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926 con la direzione di Arturo Toscanini.
Puccini volle affidarne l’atmosfera orientale ad un artista che l’Oriente lo conoscesse davvero e lo trovò in Galileo Chini, che aveva vissuto e lavorato in Siam (l’attuale Thailandia) dal 1911 al 1913 dove aveva decorato il Palazzo del Trono del Re Rama VI. Dal suo soggiorno orientale Chini tornò profondamente affascinato e con un bagaglio di centinaia di manufatti artistici di stile e produzione cinese, giapponese, siamese (una parte sono in mostra grazie al prestito del Museo di Antropologia e Etnologia dove sono conservati) che influenzarono la sua produzione artistica anche dopo la permanenza in Siam e, all’interno di essa, successivamente, la genesi figurativa.
Ma è nella terza e ultima sala che si compie la magia finale e si scioglie definitivamente il mistero con la riunione dopo decenni di oblio, degli straordinari costumi della prima dell’opera in un allestimento suggestivo che immediatamente farà ripensare alla emozionante Sala della Cavalcata nel Museo fiorentino Stibbert. Accanto a quelli della protagonista, su una grande pedana rialzata sono esposti anche 30 costumi straordinari realizzati da Luigi Sapelli, in arte Caramba, nel 1926 e provenienti dall’archivio della Sartoria Devalle di Torino, comprendenti i ruoli primari e comprimari (l’Imperatore, Calaf, Ping, Pong e Pang, il Mandarino i Sacerdoti, le Ancelle, le Guardie, i personaggi del Popolo). Oltre a Galileo Chini si deve anche a lui il merito di aver elaborato per primo l’immagine scenica dell’opera.
Iva Pacetti debuttò nel 1939 alla Scala di Milano, mentre l’ultima interpretazione nel ruolo della principessa cinese risale al 18 gennaio 1947 al Teatro dell’Opera di Roma. Aveva in repertorio una sessantina di opere: da Monteverdi a Cherubini, fino ai contemporanei. Con tutta probabilità venne in possesso dei costumi realizzati da Caramba nel 1939, in occasione della sua prima performance al Teatro alla Scala, forse in dono oppure dopo averli acquistati per personale “guardaroba d’artista” come era spesso in uso fra i soprani. Sicuramente nel 1942 ne era già in possesso, come testimonia l’immagine che la ritrae nei panni di Turandot nella performance pratese presso il Teatro Politeama Banchini.
Il Museo del Tessuto, con l’obiettivo di promuovere la ripresa della cultura e del turismo di prossimità prendendo lo spunto proprio dalla rassegna ha avviato un progetto parallelo chiamato Passaporto Turandot. Una piccola guida cartacea presenta ai visitatori la casa natale di Giacomo Puccini a Lucca, la Villa Museo di Torre del Lago, il MO.C.A. – Montecatini Terme Contemporary Art, con le splendide vetrate di Galileo Chini e con la decorazione delle volte e dei velari del Municipio e, infine, il Chini Museo di Borgo San Lorenzo con gli splendidi capolavori ceramici e non solo creati dal poliedrico artista. Portando con sé il passaporto nelle strutture segnalate si potrà usufruire di particolari agevolazioni.
TURANDOT E L’ORIENTE FANTASTICO DI PUCCINI, CHINI E CARAMBA – Museo del Tessuto, 22 maggio – 21 novembre 2021 – Via Puccetti 3 – Prato (www.museodeltessuto.it/mostra-turandot/ | Ingresso: intero 10 €, ridotto 8 €).