La rilettura de “L’uomo dal fiore in bocca” mette davanti in ospedale un capocomico vinto da un male terribile e un attore che gli fa da spalla. Il capolavoro di Cervantes invece come riflessione sulla società in cui viviamo fra finto e falso
Sebastiano Lo Monaco torna a Luigi Pirandello con L’uomo dal fiore in bocca, l’ultima recita, libero adattamento di Roberto Cavosi del celebre L’uomo dal fiore in bocca, in scena al Teatro della Pergola dal 18 al 23 aprile (www.teatrodellapergola.com) con lo spazio scenico e la regia di Alessio Pizzech. Questo sentito omaggio al drammaturgo agrigentino, del quale rimangono integre tutte le battute del suo atto unico, è la descrizione del rapporto tra un capocomico, interpretato da Lo Monaco, vinto da un terribile male, e un suo attore impersonato da Claudio Mazzenga. Due anime fragili e ferite, colte in una piccola stanza d’ospedale la sera in cui avrebbero dovuto debuttare con il loro ultimo spettacolo: proprio L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello. Tra i due presto prendono forma le battute del dramma pirandelliano, che si somma alla loro condizione reale.
La “stazione”, ambientazione originale, sparisce come luogo fisico, ma rimane come immaginario sonoro che pervade la camera d’ospedale. Lo stop dei treni, il loro andare e venire, metafora dei nostri destini, riempie la stanza quando prende forma il testo pirandelliano, mentre quando l’azione torna alla realtà riemerge il mondo sonoro dell’ospedale. L’attore inizialmente è riluttante, ma capisce che recitare le parole de L’uomo dal fiore in bocca su una morte fittizia allontana il capocomico dal pensiero della sua propria morte. Tutto questo produce una sorprendente tragicomicità, un cinico umorismo in cui anche le loro esistenze vengono messe in ridicolo. Cavosi mette a servizio di Lo Monaco e Mazzenga scambi quasi d’avanspettacolo, che stridono volutamente con l’ambiente circostante, ma che rendono il dialogo ancora più grottesco, capace di suscitare un riso che diventa consapevolezza dello scadere del tempo. La fine di questa “ultima recita”, così, coincide con il finire della vita.
Sarà “In Arte son Chisciottə”, originale riscrittura al femminile del capolavoro di Cervantes, a far calare il sipario su Materia Prima Festival, la rassegna dedicata al panorama teatrale contemporaneo a cura di Murmuris. Lo spettacolo, prodotto da Officine della Cultura, andrà in scena martedì 18 aprile ore 21.00 al Teatro Cantiere Florida di Firenze (via Pisana 111R), con le attrici Luisa Bosi ed Elena Ferri nei ruoli Don Chisciotte e Sancho Panza per la regia di Luca Roccia Baldini. Come supporto, e non solo sottofondo, quattro musicisti dell’Orchestra Multietnica di Arezzo suonano dal vivo. Un viaggio che, tra giochi di specchi, visioni e illusioni che mettono a confronto il falso col vero, incrocia tre piani di lettura e un racconto di sogni, di avventure, di speranze, di fallimenti che vogliono parlare della vita in tutta la sua complessità e semplicità. Attraverso temi come il genere, la violenza, i diritti e il riscatto, “In arte son Chisciottǝ” riflette su cosa significhi essere donne e uomini che vivono in un territorio da condividere, in un mondo da condividere, in una realtà da condividere, dove nessuno sovrasta l’altro e tutti accolgono tutti. Le attività del festival partiranno già dal pomeriggio, alle 18.00,con la presentazione del libro “Il teatro dentro la Storia. Opere e voci dalle Torri Gemelle alla pandemia” del critico Rodolfo Sacchettini, alla presenza dell’autore con interventi di Alfonso Santagata e Daniele Villa (Sotterraneo). Modererà Matteo Brighenti (info: www.materiaprimafestival.com).
“In arte son Chisciottǝ”è un intreccio di linguaggi: giochi di ombre, pop up e oggetti animati si articolano su tavoli disposti a ferro di cavallo. “Con Don Chisciotte – spiega il drammaturgo Samuele Boncompagni – si sono confrontati grandi artisti di ogni epoca e di ogni parte del mondo: libri, film, canzoni, opere d’arte, spettacoli di teatro e danza. Farne uno spettacolo è di per sé un’impresa, appunto, donchisciottesca. Nella mia riscrittura, Don Chisciotte diventa il “fare teatro”. I Giganti contro i quali ci troviamo a combattere in questo tempo sono mulini a vento che ci tolgono gli strumenti per leggere la realtà, viviamo in una società dove finto e falso si confondono, un mondo dove spesso a un Don Chisciotte manca un Sancho Panza, e viceversa. Giocare al teatro dunque diventa un atto rivoluzionario, una lucida follia, un’azione politica prima che culturale. Per questo “Chisciotte” sta ad indicare sia un cavaliere singolare, che un plurale femminile, per questo l’uso della schwa “ǝ” nel titolo”.
Le foto di ‘In arte son Chisciottǝ’ sono di Ilaria Costanzo