Con la regia di Andreé Ruth Shammah da stasera, 20 febbraio, a lunedì 23. Il racconto ha avuto anche una trasposizione cinematografica con Ermanno Olmi, Leone d’Oro a Venezia nel 1988
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Appuntamento imperdibile al Teatro di Rifredi da stasera, 20 febbraio, a lunedì 23. Andrée Ruth Shammah dirige il Maestro Carlo Cecchi nella parabola di Andreas Kartak, il clochard protagonista del racconto La Leggenda del santo bevitore di Joseph Roth. Quindici anni fa lo spettacolo vide protagonista Piero Mazzarella con una memorabile interpretazione. Qui è Carlo Cecchi, con quella sua voce roca, il tono ironico e distaccato, a disvelare la parabola di Andreas come una discesa nel delirio, ma soprattutto nell’impotenza, di quella oscurità ubriaca e piena di lampi che scandisce i suoi ultimi istanti di vita. Rifuggendo il pittoresco e giocando in penombra, l’atmosfera – tra musica, luci e una scena minima – è quella di un bistrò le cui pareti ad angolo ricevono le immagini di una Parigi piovosa e d’antan.
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Una sera di primavera a Parigi, il clochard clochard Andreas Kartak, originario come Roth delle province orientali dell’Impero absburgico, incontra sotto i ponti della Senna, un enigmatico sconosciuto che gli offre duecento franchi. Il clochard, che ha un senso inscalfibile dell’onore, in un primo momento non vuole accettare, perché sa che non potrà mai rendere quei soldi. Lo sconosciuto gli suggerisce di restituirli, quando potrà, alla «piccola santa Teresa» nella chiesa di Santa Maria di Batignolles. Da quel momento in poi la vita del clochard è tutta un avvicinarsi e un perdersi sulla strada di quella chiesa, per mantenere una impossibile parola. È come se il clochard volesse una sola cosa nella sua vita – rendere quei soldi –, e al tempo stesso non aspettasse altro che di essere sviato da innumerevoli pernod, da donne che il caso gli fa incontrare, da vecchi amici che riappaiono come comparse fantomatiche. La straziata dispersione della vita di Roth – dei suoi ultimi anni, quando, proprio a Parigi, trovava una suprema, ultima lucidità nell’alcool – traspare nell’immagine di un uomo estraneo a ogni società, visitato da brandelli di ricordi, disponibile a tutto ciò che incontra – e in segreto fedele a un unico e apparentemente inutile voto.
La leggenda del santo bevitore, pubblicato per la prima volta nel 1939, pochi mesi dopo la morte di Joseph Roth, esule a Parigi, può essere considerato, per molti versi, il suo testamento, la parabola trasparente e misteriosa che racchiude la cifra del suo autore, oggi considerato uno dei più straordinari narratori del Novecento. La storia ha avuto anche una trasposizione cinematografica con la regia di Ermanno Olmi, Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 1988.
Tutte le foto sono di Francesco Bozzo