Ieri sera al teatro Romano, davanti a un folto pubblico, il riconoscimento del Comune, in collaborazione col sindacato critici cinematografici, al regista iraniano due volte premio Oscar
“Amo il cinema italiano: in quello di Fellini vedo le radici del cinema di Paolo Sorrentino, mi piace il realismo di Matteo Garrone e Mario Martone e i film di Nanni Moretti perché ‘rispettano’ il genere umano”. Così il regista iraniano Asghar Farhādi, due volte vincitore dell’Oscar, ieri a Fiesole per la consegna del Premio Fiesole ai Maestri del cinema al Teatro Romano, il prestigioso riconoscimento conferito dal Comune di Fiesole in collaborazione con il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Toscano e la Fondazione Sistema Toscana, con la direzione artistica di Massimo Tria.
“Il cinema italiano – ha poi continuato il regista iraniano – è un punto di riferimento e tutti sono curiosi di sapere cosa succede, come si muove la vostra cinematografia. Due anni fa ho messo in ordine alcuni film italiani e ho rivisto anche quelli di Visconti, fonte di costante ispirazione per me, infatti amo riguardarli tante volte. De Sica, ad esempio, ha fatto un film che si chiama “Il Tetto” meno conosciuto che mi piace molto. Ho omaggiato De Sica nel mio ultimo film “Un Eroe” in alcune scene, dove c’è un uomo con una bicicletta che passa”.
Il regista è arrivato ieri a Fiesole accolto da Massimo Tria, direttore artistico del Premio Fiesole ai Maestri del cinema. Farhādi ha poi visitato l’Area Archeologica del Teatro Romano accompagnato da Silvia Borsotti e infine si è recato agli Uffizi, dove sotto gli auspici del Direttore Eike Schmidt, ha potuto ammirare per la prima volta opere che lo avevano attirato e ispirato già in passato: il Tondo Doni di Michelangelo, le tele di Leonardo, La primavera del Botticelli, e soprattutto una delle opere che più hanno colpito l’immaginazione del Maestro, La Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Il Maestro è rimasto poi stupito dalla “illuminazione dal basso” delle opere dell’olandese Gherardo delle Notti (Gerrit van Honthorst), dichiarando che proprio da simili opere e da questi tagli di luce ha preso ispirazione per il suo film spagnolo “Tutti lo sanno”. Il tempo di gustare un delizioso pranzo con il critico Gabriele Rizza, per molti anni Direttore del Premio Fiesole, durante il quale si è parlato anche dei progetti futuri del cineasta iraniano (forse anche in Italia), e poi il ritorno a Fiesole con un bel po’ di Dvd di classici italiani tra cui La Morte a Venezia di Luchino Visconti donati da una libreria del centro. Al regista, inoltre, è stata dedicata la monografia “Le verità nascoste” a cura di Simone Emiliani con i contributi dei soci del Sncci, per le Edizioni ETS di Pisa.
Per Farhādi la famiglia è una fonte infinita di ispirazione: “Spesso – spiega – racconto nei miei film dinamiche famigliari perché possiamo capire anche cosa sta succedendo nella società contemporanea. Ci sono tutti i personaggi della società nelle famiglie: adolescenti, vecchi, bambini, uomini e donne. Nella mia cultura la vita dentro casa è diversa dalla vita fuori dalla casa, addirittura diventa un paradosso. In casa le persone hanno meno maschere, sono più vicine alle loro realtà. In qualche modo quando vediamo le persone dentro casa possiamo capire come si comporterebbero realmente fuori casa. Questo mi ha aiutato un po’ a evitare la censura”. Il regista iraniano ha poi confidato che sta lavorando a un nuovo film con suo fratello e ha aggiunto “ho saputo che alcuni colleghi sono in carcere e spero che la situazione si risolva perché l’arte deve essere libera”.
Molto importante per lui è anche l’uso del primo piano nel cinema. “La lingua farsi – ha concluso – non è una lingua diretta ma una lingua molto misteriosa, per questo alcune cose vengono dette indirettamente, ed esiste a volte un rapporto particolare fra parole e realtà concreta che esse rappresentano. Per esempio, il vino sarebbe vietato nella nostra religione, ma nelle poesie in farsi ci sono paradossalmente molti termini per “calice” o altri legati appunto al vino, e quindi dobbiamo vivere con questi paradossi linguistici. Penso che una delle più grandi preoccupazioni delle persone sia il tempo perché è quel treno che ci lega alla morte. E noi siamo su questo treno e abbiamo la volontà di non arrivare mai. Per questo motivo il tempo ha una certa importanza per me”.