Nel monologo, tratto dall’omonima raccolta di racconti, prende vita una carrellata di personaggi che riemergono da una memoria lontana quanto vivida
Al Teatro della Pergola, dal 21 al 26 marzo, Giuseppe Battiston è il protagonista de La valigia, monologo tratto dall’omonima raccolta di racconti di Sergej Dovlatov, adattata dallo stesso Battiston e da Paola Rota, anche regista, con la traduzione di Laura Salmon. Una produzione Gli Ipocriti – Melina Balsamo.
Scrittore, giornalista e reporter per «The New American», giornale di emigrati ebrei in lingua russa, morto in esilio negli Stati Uniti poco dopo la caduta del regime sovietico, Dovlatov raccoglie nella Valigia tutti gli oggetti che porta via quando decide di lasciare per sempre la sua Leningrado: a ogni oggetto corrisponde un episodio e un personaggio della sua vita vagabonda. Lo spettacolo si articola in un continuo andirivieni tra presente e passato, usando come dispositivo di racconto uno studio radiofonico, attingendo alla storia di Dovlatov. Ne nasce una carrellata di personaggi, quasi fantasmi, che riemergono da una memoria tanto lontana quanto vivida: uomini e donne raccontati con i filtri della distorsione e della comicità. Sono figure e storie piene di amore, con una nota nostalgica che cerca di evitare, però, la tristezza. Infatti, come Dovlatov, sono sempre in contrasto con il mondo e la vita, riuscendo a cogliere il lato umoristico nella drammaticità grottesca.
«È un microcosmo variegato tanto realista quanto malconcio, ma sempre – afferma Giuseppe Battiston – estremamente poetico nelle sue rappresentazioni. Sono i reietti, i poveri, i delinquenti, le carogne, come le chiama Dovlatov, da cui l’autore è irresistibilmente attratto. E non è l’unico perché questi personaggi affascinano anche a me. La valigia è quell’oggetto di cui non possiamo fare a meno e che non può fare a meno di noi, è quel contenitore che ci racconta, è la nostra memoria e il nostro futuro, è la cosa che meglio ci rappresenta e che più ci somiglia”.
Scomparso nel 1990 non ancora cinquantenne, Dovlatov vede le sue opere pubblicate negli Stati Uniti e in Europa dopo il 1978, anno in cui emigra a Vienna e da lì a New York, dove raggiunge la moglie e la figlia. Prima di allora i suoi romanzi sono circolati in Unione Sovietica come copie clandestine. Quando si parte per non tornare mai più, come si guarda a ogni oggetto che si lascia? E soprattutto, come si guarda a ogni oggetto che si prende con sé? E questi oggetti, che peso avranno nella nostra nuova vita? La valigia, così personale e unica, diventa metafora della condizione umana: emigriamo dalla nostra giovinezza, da un passato fatto di persone, immagini, episodi e sentimenti che solo il ricordo ha la forza di immortalare e riportare tra noi. Attraverso quindi alcuni oggetti e i ricordi che questi attivano, Battiston dà vita sul palcoscenico ai personaggi indimenticabili che hanno fatto parte della vita di Dovlatov. Il pubblico si trova così a giocare con lui per scoprire che il sentimento di Dovlatov non è solo la libertà, ma qualcosa di più profondo, che dove è arrivato non è così facile trovare.
Le foto di Giuseppe Battiston sono di Filippo Manzini