E’ morto improvvisamente ieri in una clinica romana Mario Sconcerti, editorialista del Corriere della Sera e firma notissima del giornalismo sportivo nazionale. Nato a Firenze 73 anni fa, era figlio di Adriano Sconcerti famoso procuratore di pugilato che lanciò tra gli altri Alessandro Mazzinghi. Dopo aver iniziato la carriera al Corriere dello Sport, nel 1979 passò a Repubblica. Qui divenne responsabile delle sedi di Milano, Bologna e Firenze. Diresse anche il Secolo XIX di Genova. Per un periodo di tempo fu anche AD della Fiorentina
Quella mattina del 1981 al Brivido Sportivo, storico settimanale di critica e attualità, c’era grande fermento. Il caporedattore di allora, Carlo Pallavicino, era entrato in redazione e tutto contento ci aveva detto che era riuscito a convincere un grande giornalista a passare nel pomeriggio per tenere una piccola “lezione” a quel gruppetto di giovani che volevano farsi notare a tutti i costi e trovare il loro posto nel mondo giornalistico fiorentino e non solo. Per me era una delle prime volte che frequentavo le piccole stanze situate sopra la tipografia di via Corelli al Barco dove era la sede del giornale. Ma in redazione c’erano già dei “veterani” che poi avrebbero fatto molta strada: due su tutti, Marcello Mancini che poi più in là nel tempo avrebbe guidato La Nazione, e Alessandro Bocci grande inviato di sport che firma tutt’ora sul Corriere della Sera dopo aver trascorso parecchi anni a Tuttosport. Io ero un po’ l’ultimo arrivato nella nidiata. Mi ero presentato da loro dicendo se serviva qualcuno che scrivesse di pallavolo (allora ero presidente della Federazione provinciale di Firenze) e Pallavicino con pochissima convinzione e molti dubbi mi aveva detto che sì, insomma, in fondo si poteva anche provare dopo aver avuto l’assenso del grande direttore Paolo Melani e del suo vice Piero Focardi, signore d’altri tempi prestato al giornalismo in virtù della sua fortissima passione per la pallacanestro.
Avevo appena finito di consegnare il pezzo per farlo comporre alla tastierista e fu improvviso il silenzio in redazione quando Pallavicino arrivò accompagnato da una persona che avrebbe provato a insegnarci i principali rudimenti del mestiere. Quel maestro era Mario Sconcerti e che maestro fosse lo capimmo fin da subito quando si mise a sfogliare le pagine appena montate dalla tipografia (allora i computer erano rarissimi e i Pdf non si sapeva nemmeno cosa fossero… lo avremmo imparato nei decenni a seguire). Quando arrivò alla pagina della pallavolo mi guardò, poi guardò l’articolo in cui si parlava dei massimi campionati ai nastri di partenza e poi disse: “Ma sei veramente un piscione” frase che in gergo vuol dire di quando uno si sbrodola addosso nello scrivere. Non ricordo che occhiello e titolo avessi fatto, ma non gli erano piaciuti e si capiva benissimo. Li cambiò in un battibaleno e improvvisamente l’articolo fu come trasformato per magia. La prima parte recitava: “Partono i campionati con la Robe di Kappa favorita e un rimpianto che ci riguarda”, il titolo a tutta pagina era come un’esplosione: “Ma Firenze resta a guardare”, volendo sottolineare come anche in quell’anno la città non sarebbe stata tra le protagoniste della stagione. E un maestro Sconcerti lo era davvero. Dopo il suo arrivo a la Repubblica nel 1979 aveva dato vita alla redazione sportiva del quotidiano fondato e diretto da Eugenio Scalfari portandosi dietro Gianni Mura e Mario Fossati, Licia Granello ed Emanuela Audisio: tutti colleghi con cui ho avuto la fortuna di poter lavorare.
Molto più avanti negli anni, era il 1990 e già da due mi trovavo a Milano, una mattina la porta dell’ascensore della redazione di Repubblica si aprì e me lo ritrovai davanti. “O te che ci fai qui?”, mi chiese. Io risposi che lì ci lavoravo e avevo una collaborazione con lo sport. “Bene – aggiunse – perché io qui da oggi sono il nuovo caporedattore”. All’ombra della Madonnina rimase fino al 1992, l’anno di Tangentopoli che travolse un’intera classe politica italiana, in primis Psi e Dc. Pochissime furono le occasioni di incontrarci. C’era da stare sul campo, che in quel caso non era uno stadio ma il Tribunale in Corso di Porta Vittoria, sentire il “mood” degli inviati sguinzagliati fra le stanze del palazzo di giustizia, Piero Colaprico e Luca Fazzo i due più ascoltati. Insomma c’era troppo da fare e forse al giornale stavano cominciando anche a cambiare i tempi con le prime teste da tagliare e la convinzione che probabilmente era impossibile fare la guerra al Corriere. Due anni dopo divenne direttore responsabile del Secolo XIX di Genova. Tornò però presto a Roma per guidare, per sei anni (1995-2000), il Corriere dello Sport suo vecchio e grande amore. Quindi i commenti per le radio e le televisioni fino a divenire editorialista del Corriere della Sera per il quale aveva scritto l’ultimo articolo di commento ai Mondiali di calcio di Doha prima del suo improvviso addio che lascia oggi tutti increduli e costernati.
Ciao Mario, grande maestro da quale era bellissimo imparare e fiorentino incompreso nella propria città.