Il fotografo fiorentino Marco Gabbuggiani racconta per “La Martinella” le emozioni provate nei giorni della “Fiesta” immortalata da Ernest Hemingway
Nacque tanti anni fa la necessità di trasportare i tori fin dentro l’arena distante 800 metri da quel recinto vicino al Comune di Pamplona chiamato appunto Encierro. A quei tempi non c’erano i camion e trasportare tori pesantissimi, e tutt’altro che docili, era davvero un’impresa. Venne deciso di fargli percorrere gli 800 metri di strada incanalandoli in un percorso cittadino delimitato da staccionate di legno. Un giorno successe che un giovane, ignaro del pericolo, si trovasse proprio dove i tori correvano verso l’arena. Come accade ai tempi nostri, l’adrenalina diventò contagiosa e fin nei giorni seguenti a lui si unirono altre persone in questa, per noi, folle corsa che può portare anche ad epiloghi funesti. Era il lontano 1856. Ed era il settimo giorno del settimo mese dell’anno.
Da allora questo avviene ogni anno per 8 giorni seguenti, alle 8 del mattino. I tori entrano nell’arena e ne escono dalla parte opposta del cerchio che la delimita. Sembra che sia tutto finito ma non è così.
I cancelli si chiudono e coloro che hanno corso per Estafeta (la via dritta che conduce dopo la salita all’arena) restano lì in attesa di sfidare ancora e nuovamente il toro. Alternativamente vengono liberati 7 torelli giovani di circa 300 kg con la punta delle corna fasciata. E inizia una scorribanda con il toro che rincorre tutto e tutti tra le centinaia di persone rimaste dentro l’arena. Non raramente si sente il classico rumore di rottura di rami che rami non sono, bensì le ossa dei temerari che accettano la sfida con l’animale. Nell’insieme dunque uno spettacolo molto bello, condito di quell’assurdo che per molti di noi è incomprensibile ma che ho potuto apprezzare nel suo lato più romantico nelle tante mie partecipazioni a questa festa religiosa che celebra il patrono di Pamplona: San Firmino.
Finita la sfida, tutti in strada tra musiche assordanti, mangiare, bere, ballare e ridere acclamando e cantando anche cori a favore dell’eroe di turno che ha avuto ferite nella corsa o nella sfida dentro l’arena. Il tutto in attesa della corrida delle 18 quando, quei poveri tori che hanno corso la mattina alle 8 per Estafeta trovano la loro fine ad opera dell’uomo.
Mentre considero un’affascinante sfida tutto quanto fin’ora descritto, giudico spiacevole quanto avviene durante la corrida e non riesco ad assistere a tanta crudeltà verso un animale indifeso che ha contro decine di persone. Se però si leggono i romanzi di Ernest Hemingway, che per tanto tempo ha vissuto in questa città lasciando pagine memorabili sulla “Fiesta”, oppure parli con un pamplonese quello risponde a tono dicendoti: “Pensate che noi siamo crudeli? Curiamo e accudiamo come un figlio il toro fin dalla nascita per poi finire il ciclo con la sua morte che porterà cibo sulle nostre tavole. Lo stesso cibo che voi mangiate sgranocchiando una coscia di pollo cresciuto in minuscole gabbie e che non ha mai visto la luce del sole. Chi è più crudele tra noi e voi?”.
Questa risposta 3 anni fa mi fece riflettere fino al punto di inforcare la moto e andare a visitare una Ganaderia di tori per verificare quanto detto. Mi trovai davanti una fattoria modello con tanto di capannone dove c’erano due tori con dei problemi di salute che venivano letteralmente coccolati dagli addetti con tanto di carezze e chiacchiere mentre gli altri pascolavano in enormi spazi, liberi di scorrazzare a loro piacimento. Alla sera, un paio d’ore di addestramento in recinto in modo da iniziare la selezione e preparazione alla corsa ed alla corrida. Mentre rientravo, pensavo ai tanti servizi televisivi di denuncia verso polli o maiali allevati in maniera indegna. Non sono andato lo stesso a vedere la corrida perché la considero comunque una crudeltà ma mi sono sentito molto meno sicuro delle mie convinzioni. Finita la corrida, quasi come voler espiare la sofferenza di questi animali, tutti in strada. Migliaia di persone tutte vestite di bianco che si strafogano di tutto ciò che è bevibile fino a tarda notte o, in molti casi, fino alla mattina seguente quando gli addetti misureranno con l’etilometro il loro tasso alcolico prima di permetterti di correre davanti ai tori.
Insomma, un’esperienza davvero unica che ti lascia di che riflettere per varie ragioni. La prima è che per quei giorni l’intera città ferma ogni attività che non riguarda il turismo. Nessuno lavora perché gli abitanti di tutte le età si riversano in strada a godersi la festa. La seconda cosa che ti colpisce tra musiche, balli ad ogni angolo, concerti in ogni piazza, giocolieri e attori di strada è che non esiste un accenno di alcun tipo di violenza nonostante sia il posto al mondo dove ho visto più gente ubriaca nella mia vita. Ogni tanto qualche poliziotto tranquillo e sorridente in maglietta a mezze maniche che sta lì per presenza. La terza cosa è l’organizzazione. I prati e le piazze finita la nottata di sballo si trasformano in pattumiere mentre, le strade diventano rossastre della sangria caduta per terra. Ma alle 7 di mattina, di ogni mattina, esci e trovi le strade completamente lavate e disinfettate, e i prati tornati al loro splendore.
A chi mi domanda ma come mai sei andato per la quinta volta alla festa di San Firmino con tutti i posti belli che ci sono nel mondo, ebbene la risposta sta in queste righe. Se poi penso alla meraviglia di attraversare i Pirenei in moto, beh allora mi prende la voglia di ripartire: anche domattina. Ma ormai aspetterò il prossimo anno dai.
Tutte le foto pubblicate sono di Marco Gabbuggiani