E’ la copia in gesso della statua di marmo adesso nascosta per proteggerla dai bombardamenti della guerra in Ucraina. Sgarbi: “In nome della sua Pace chiedo a tutti di invocarla perché il mondo si salvi”
Firenze accoglie La Pace di Antonio Canova, la celebre versione in gesso del marmo custodito all’interno del Museo Nazionale Khanenko di Kiev e attualmente nascosto per tutelarlo dai bombardamenti della guerra tra Russia e Ucraina. Il modello in gesso della Pace di Canova trova ospitalità nel cuore di Palazzo Vecchio, e diventa un mezzo per assicurare la contemplazione del capolavoro dello scultore, altrimenti negata dal conflitto. L’evento assume un’ulteriore risonanza artistica e politica in quanto va a confrontarsi a poca distanza di metri con la grande tela di Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, esposta da pochi giorni nel Salone dei Cinquecento.
La mostra, curata da Vittorio Sgarbi, realizzata grazie alla collaborazione tra il Museo Novecento e il Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, organizzata da MUS.E con Contemplazioni, vede la scultura installata al centro della Sala di Leone X con gli affreschi che ripercorrono le tappe dell’ascesa al potere di Giovanni de’ Medici in una sorta di contraltare al messaggio portato avanti dalla scultura di Canova, che con la sua storia racconta vicende di guerre e di pace. “L’arte e la cultura vinceranno contro la violenza e l’abominio della guerra – ha detto il sindaco Dario Nardella -. In questi tempi così travagliati accogliamo a Palazzo Vecchio un’opera fortemente simbolica. La Pace di Kiev viene evocata con l’unica sua copia esistente nella sala di Leone X. Essa ci induce a riflettere sulla estrema fragilità materica dell’arte di fronte alle forze distruttive ma anche alla potenza della stessa che si fa forma, memoria, messaggio di pace di inusitato coraggio”.
Commissionata dal politico e diplomatico russo Nikolaj Petrovič Rumjancev, ideata da Canova nel 1812 e realizzata nel 1815, la scultura venne pensata come omaggio alla famiglia Rumjancev, fautrice di alcuni trattati di pace tra Russia e altri Paesi. Canova venne incaricato di realizzare l’opera all’alba dell’invasione napoleonica della Russia. Alla morte di Rumjancev, la sua collezione fu donata allo Stato e andò a costituire nel 1831 il primo Museo pubblico russo, inizialmente a San Pietroburgo, poi, nel 1861, trasferito a Mosca. Krusciov – Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, dalle origini ucraine – decise poi nel 1953 di trasferire la scultura da San Pietroburgo a Kiev, al Museo Nazionale Khanenko.
“La Pace di Kiev, proveniente dal Museo Antonio Canova di Possagno, è ora a Firenze, e qui, temporaneamente, attende tempi di pace – commenta Sgarbi, curatore della mostra -. Canova, l’ultimo grande artista che ha chiuso l’arte dell’Occidente ha unito tutto, non ha diviso. Canova è un grande conciliatore di ogni conflitto, di ogni differenza, e in nome della sua Pace io chiedo a voi di invocarla tutti insieme sul piano di spirito del mondo, perché il mondo si salvi”.
“A pochi giorni di distanza dalla presentazione del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo – conclude Sergio Risaliti, direttore del museo Novecento – entra in Palazzo Vecchio un secondo capolavoro dell’arte italiana. Qui passato, presente e futuro si incontrano e s’incrociano e l’arte si assume il compito di rappresentare il destino dell’umanità. Incredibile come le opere di due artisti di cultura e stile così diversi se non antitetici, possano calarsi nell’attualità e rigenerarsi ai nostri occhi. A riprova che i grandi capolavori travalicano la propria epoca, anche quando nascono dalla cronaca, perché si fanno portavoce di valori universali. Guardando le bianche immacolate forme della Pace di Kiev non possiamo non pensare al sangue che scorre in Ucraina, al dramma dei profughi, agli orrori perpetuati tra i civili. E non possiamo non pensare alla sorte di tanti capolavori artistici messi a rischio dalla furia distruttiva degli eserciti. La Pace di Canova ci impone di dare un senso alla bellezza, facendoci portatori di fraternità e solidarietà tra i popoli e le persone”.
Fotoservizio a cura di Elisabetta Failla