Se la produzione del prezioso condimento segna un 30% in più annunciandosi di qualità ottima, il Consorzio del Chianti lancia l’allarme sul contraccolpo che avrà sui consumi il Dpcm che impone ai locali la chiusura alle 18
L’olio toscano va a gonfie vele. La raccolta delle olive nelle campagne è iniziata solo da un paio di settimane, ma molte aziende agricole e frantoi esprimono già soddisfazione per una resa che promette di riscattare quella del 2019, quando l’attacco della mosca e le temperature elevate in fase di fioritura degli ulivi ne compromisero la produzione.
I quantitativi di “drupe” sugli alberi sono decisamente maggiori infatti di quelli dell’anno scorso. Soprattutto nella parte centrale della Toscana, intorno a Firenze, dove il carico di olive è decisamente importante. A soffrire di più sono la zona costiera e il grossetano: qui le gelate di aprile hanno danneggiato la fioritura compromettendo la quantità di olive e, di conseguenza, le rese. “Per quest’anno – precisa Ritano Baragli, vicepresidente di Fedagripesca-Confcooperative e presidente della cooperativa Colli Fiorentini–Valvirginio – stimiamo una produzione complessiva di circa 140mila quintali di olio, il 30% in più circa dell’anno scorso. Dopo un 2019 sotto i 100mila quintali, torniamo dunque in linea con la media toscana degli ultimi dieci anni. Inoltre, la qualità del prodotto sarà ottima, con un’acidità bassissima e di conseguenza un gusto più morbido. Ci aspettiamo punte di eccellenza molto alte”.
Su ogni previsione però pesa lo spettro dell’emergenza sanitaria e del possibile nuovo lockdown o lockdown light che dovrebbe essere deciso nelle prossime ore e potrebbe bloccare i consumi di ristoranti, alberghi e scuole. La tendenza comunque è quella di lasciare inalterati i prezzi all’ingrosso (da 7,5 a 8 euro) e al consumatore finale (dai 10 ai 20 euro).
Ma se per l’olio tutto sommato le cose sembrerebbero andare bene la stessa cosa non si può dire del vino che rischia di subire un tracollo nel consumo del 70% con il Dpcm che imporrà la chiusura dei locali alle 18. L’allarme arriva direttamente dal Consorzio del Vino Chianti, 3.000 produttori per 15.500 ettari di vigneto e una produzione di 800mila ettolitri.
“Si tratta – spiega il presidente del Consorzio, Giovanni Busi – di un colpo durissimo al settore. Senza considerare che i ristoratori, i locali e le enoteche si sono adattati puntualmente ad ogni disposizione, accogliendo i clienti in totale sicurezza. Hanno fatto sacrifici economici importanti, anche indebitandosi ulteriormente, pur di restare aperti”.
Secondo Busi sarebbe stato necessario adattare le restrizioni alle realtà locali e alle condizioni di lavoro delle attività, per garantire i lavoratori e le aziende. “Invece – continua – si è preferito agire in maniera dura, anche confusa, per tamponare un oggettivo problema di organizzazione che questo Governo continua a manifestare. Continua anche questa brutta abitudine di annunciare ristori e misure di sostegno senza poi concretizzare in tempi brevi. Ci sono ancora lavoratori che aspettano la cassa integrazione dei mesi estivi, c’è sempre troppo burocrazia che soffoca le imprese, soprattutto le più piccole. Adesso vanno presi provvedimenti concreti altrimenti il fallimento di interi settori economici sarà inevitabile”.