La cosiddetta Fase 2, quella della convivenza con il Coronavirus, ancora non è partita ma già porta con sé polemiche. Una in particolare in queste ore sta arroventando il dibattito e si riferisce alla possibilità di spostarsi da casa. Perché se prima si poteva abbandonare la propria abitazione solo nel caso di comprovate necessità (lavoro o salute per intenderci) adesso il Decreto consente spostamenti anche per andare a trovare i propri cari: o per meglio dire “I congiunti”. Ed è proprio questa parola, freddamente burocratica, ad aver acceso la contesa su chi deve essere considerato un congiunto: un suocero, un parente, un cugino, una compagna, una fidanzata, un’amante. Rita Ragonese, che abbiamo imparato a conoscere con l’intervento dedicato alle nostre paure in tempi di Covid-19, adesso immagina l’attesa di una coppia che si ritrova alla stazione dopo tre mesi lontananza forzata
di RITA RAGONESE
Il treno delle 11.35 in arrivo da Milano sul binario due è in leggero ritardo. Francesco ascolta l’altoparlante mentre avvicina la mano al mento come fa quando è assorto. Lo fa sempre di prendersi le guance nell’incavo della mano destra che scivola delicatamente verso il mento. Ma adesso la mano incontra il tessuto della mascherina che gli copre metà del viso e lui subito la ritrae. Si è talmente abituato a portarla che non se ne accorge più. Il pensiero corre subito ai guanti che hanno toccato la mascherina, anche se si è trattato di uno sfioramento subito bloccato, e all’ultima cosa toccata. No niente, tutto a posto, ha toccato i tasti del parchimetro mezz’ora prima ma subito dopo si è passato una dose abbondante di disinfettante.
Riguarda il cellulare. Nessun nuovo messaggio. Riapre l’ultimo che Elena gli ha inviato poco prima con la foto dello scompartimento semivuoto. Tre mesi di lontananza forzata e adesso l’abbraccerà. Non può fare a meno di pensare, Francesco, al treno che schizza da una parte all’altra dell’Italia con tutto il suo contenuto: la sua donna, pochi passeggeri, il macchinista, i giornali comprati alla stazione centrale di Milano, le valigie, il virus. Sì il virus, che oltre ad essere subdolo è anche ad alta velocità e si trasferisce assieme ai pochi motivi di viaggio che animano le carrozze.
L’annuncio all’altoparlante, poi il fischio in lontananza e assieme al treno arriva il vento malsano di stazione.
Scendono i passeggeri, sono tanti in realtà ma non una folla. Anche Elena scende e si avvia verso il sottopassaggio con il suo trolley rosso. Francesco la riconosce subito anche con il bavaglio azzurro, la scorge nel suo ondeggiare elegante, quello che avverte anche quando la tiene sottobraccio passeggiando in città. È così garbata Elena, leggera, anche nella durezza di una stazione, anche trasportando la valigia al suo fianco. Già, le rotelle che scorrono sul marciapiede lercio del binario due non sono una buona idea, così pensa Francesco il cui sguardo scivola dai capelli ramati di lei che luccicano al sole alle ruote del trolley che girano raccogliendo la peste.
Dovrà strofinarle con l’alcol, continua a pensare mentre Elena si avvicina e lui andandole incontro mette da parte questa preoccupazione per dopo e riporta gli occhi su quelli di lei che rivelano un sorriso immenso sotto la mascherina. Sono a pochi passi, Francesco spalanca le braccia, d’istinto si gira a controllare presenze inopportune, Elena fa lo stesso, nota un vigilante a poca distanza. Si fermano, è un attimo di indecisione ma nel tempo necessario a decidere il da farsi i corpi si sono già allacciati stretti e le parole mischiate alle risate hanno cominciato a dire un sacco di cose. Le mascherine sono una barriera che subito si abbatte ma il vigilante fischia arrabbiato e la barriera si frappone di nuovo tra loro. Si voltano, l’uomo in divisa non c’è dietro di loro, forse è stato il capotreno, forse il fischio proveniva da un altro binario.
L’uomo e la donna scompaiono nel sottopassaggio e una manciata di secondi dopo riemergono verso l’uscita. Prima di caricare la valigia Francesco la disinfetta, gettano i guanti e partono alla volta di casa, dove si chiuderanno per l’intero weekend a recuperare la lontananza. La tavola già apparecchiata li aspetta, con il profumo del cibo buono preparato la mattina. L’automobile schizza verso l’amore con tutto il suo contenuto: una coppia, una valigia, musica, risate e lui che si fa pugnalare dal pensiero di lei seduta in treno, appoggiata allo schienale di quel treno per ore, con gli stessi abiti che adesso sono là nella sua auto e tra pochissimo entreranno in casa.