Voci insistenti vorrebbero la chiusura dell’esercizio pubblico fra via Pietrapiana, via di Mezzo e via Verdi gestito da Daniela che oltre a caffè, cappuccini e tramezzini distribuisce consolazione una grande umanità
Voci sempre più insistenti, ma che gettano nella costernazione quella parte di mondo che risiede a Firenze, fra piazza Salvemini, le vecchie Poste del Michelucci in via Pietrapiana, via di Mezzo e via Verdi. Un pezzo della Firenze storica, dove entrare in un qualsiasi locale non frequentato da turisti e dove puoi trovare quella umanità varia, un po’ rissosa e ironica, disincantata e a tratti anche un po’ proterva, di quella protervia che proviene dall’essere figlia di una delle città più belle del mondo protagonista dei libi di Pratolini, non è cosa da poco. E’ il bar di piazza Salvemini, un locale storico (la sua presenza data dai primi del ‘900) che da almeno trent’anni, gestito da una donna straordinaria che gode della simpatia e affezione di tutto il vicinato, distribuisce cappuccini, paste, tramezzini caffè e consolazione a quello spicchio di fiorentini che risiedono fra il Duomo, Santa Croce e piazza dei Ciompi, come raccontano un gruppo di donne, anziane e più giovani , che si fermano a parlare con noi. “Siamo qui da sempre – dicono – e venire a fare due parole con lei (la barista) è sempre stato un modo per cominciare la giornata”. Alle donne che sono lì e lavorano al banco, si racconta anche ciò che ti rende grosso il cuore, prima di scappare o al lavoro o a fare la spesa o a tutte e due. Ma non solo. C’è la Sofia, la conoscono tutti lì intorno, che chiede sempre qualche spicciolo e dalla nostra barista “segna”. E quando la lista è troppo lunga, magari ci pensa la Daniela (la proprietaria) a dare un’accorciatina. O i panini, che vanno a ruba (soprattutto i tramezzini, i più buoni mai assaggiati) e qualcuno ne prende uno, lo mangia e il secondo, qualche volta, lo pagherà.
I clienti fissi sono tanti, qualcuno viene solo per parlare di sé e dei suoi affari, gioie e dolori. Qualcuno chiede un consiglio. Qualcuno se ne sta a sedere tutta la mattina consumando un caffè e comprando le sigarette prima di andarsene. Tutti sapevano, prima che morisse prematuramente, che chi voleva parlare con Lorenzo Bargellini poteva passare di lì. Lorenzo, una vera istituzione per il quartiere, leader del Movimento di Lotta per la Casa, veniva a prendere il caffè o a mangiare un boccone e trovava spesso già il gruppetto di poveri cristi che lo aspettava. In altre parole: il bar di piazza Salvemini, insieme a un buon caffè e a ottimi tramezzini e primi piatti fatti lì per lì, è da sempre ciò che manca ormai in questa città votata a turismo e profitto: un punto di aggregazione, una pausa con i vicini della via e del quartiere, uno scambio fra persone che si conoscono spesso a cominciare almeno dai nonni. Perciò, alla voce che i proprietari dell’immobile vorrebbero sfrattare la Daniela, come dire, l’anima del luogo, il segreto che rende quel luogo familiare anche a chi semplicemente vuole bersi un buon caffè insieme a chi abita nel meraviglioso dedalo fra il Duomo e Santa Croce, la costernazione popolare sta cominciando a diventare qualcosa di più. “Indignazione – dice il vecchio professore che sembra il ritratto di Chopin invecchiato, con gli occhi azzurri e i capelli bianchi al vento – ecco cosa sta diventando. Ci hanno recluso da ogni parte in casa nostra, dando in pasto tutto alla “narrazione”. E ora, vorrebbero levarci anche l’ultimo posto autentico che è rimasto in quest’area. Non ci stiamo”.
Non ci sta neanche l’avvocato che sta nei paraggi, il consulente lì vicino, il negoziante che prima di aprire va a prendere il caffè e a fare due chiacchiere sul governo o sugli ultimi aumenti. Non ci sta la gente del posto. Ma la logica del profitto, come dice un disincantato ex dipendente delle Poste che cambieranno anche loro, non terrà conto della “gente minuta”, come la chiama lui, facendo una citazione non si sa quanto consapevole. Intanto, si consolano fra loro i fiorentini del bar, sono solo voci. Ma se succedesse davvero, “faremo qualcosa”.