La Commissione UE: “Il Franchi non era parte del piano di Recovery iniziale”. Palazzo Vecchio replica: “Il progetto di riqualificazione promuove la rigenerazione urbana”
“Il progetto di riqualificazione dello stadio Artemio Franchi promuove la rigenerazione urbana, attraverso il recupero, la ristrutturazione, la rifunzionalizzazione ecosistenibile di una struttura pubblica e di una area pubblica; ha come oggetto la manutenzione e il riuso e la rifunzionalizzazione ecosostenibile di area pubblica e di struttura edilizia pubblica esistenti per finalità di interesse pubblico, il miglioramento della qualità del decoro urbano e del tessuto sociale , economico e ambientale con particolare riferimento allo sviluppo e potenziamento dei culturali e alla promozione delle attività economiche culturali e sportive; è inserito nell’area Campo di Marte ed ha un indice di vulnerabilità pari a 100.3 quindi superiore a 99 o superiore alla media a dell’area territoriale (come prescritto dal decreto 152/21)”.
Il Comune di Firenze al termine di un’altra giornata convulsa è intervenuto direttamente con una lunga nota stampa diffusa ieri a tarda sera per confutare le affermazioni della portavoce della Commissione Europea in merito ai fondi del Pnrr destinati alla riqualificazione dello stadio Artemio Franchi. Nella mattinata di ieri, sollecitata dai giornalisti presenti a Bruxelles aveva affermato, che quei fondi ( i famosi 55 milioni di euro che rappresentano un quarto della somma occorrente al restauro del vecchio Comunale, per il momento congelati in attesa delle verifiche UE) “non erano parte del piano di Recovery iniziale” dell’Italia. E poi aveva continuato spiegando che nel Pnrr inizialmente concordato tra la Commissione e l’Italia figurano tra le “tappe fondamentali i cosiddetti piani integrati urbani” e “la terza richiesta di pagamento include una pietra miliare relativa all’adozione di piani di investimento riguardanti progetti di rigenerazione urbana da parte delle città metropolitane”. I progetti “devono rispettare i criteri che abbiamo concordato nel piano, che è stato convalidato dagli Stati membri nella decisione di attuazione del Consiglio” e “devono essere localizzati in grandi aree urbane degradate” e “rispettare l’obiettivo sociale della misura. Questo è esattamente ciò che stiamo valutando al momento”.
Di più, la responsabile della task force europea Céline Gauer aveva aggiunto di ritenere come unico referente il Governo italiano, bocciando così l’idea di Nardella di volare a Bruxelles per incontrare la Commissione e lasciando tutto nelle mani del ministro Raffaele Fitto, responsabile Pnrr, che fino a questo momento si è mostrato piuttosto tiepido nelle intenzioni di difendere gli interessi di Firenze e di Venezia l’altra città coinvolta nelle verifiche Ue per via del “Bosco dello sport”.
Così ieri sera Palazzo Vecchio ha diramato una lunghissima nota in cui fornisce tutte le spiegazioni sulla liceità di tutta l’operazione anche se resta da capire come oggettivamente si possa definire Campo di Marte “zona degradata” come sembrerebbe da una mappa che pare presente nel fascicolo inviato dal Comune a supporto della richiesta di finanziamento, finanziamento come ormai è noto a tutti che riguarda solo zone fatiscenti o comunque sulle quali creare una urbanizzazione. Non certo quindi una superficie residenziale a verde, con dentro uno stadio e numerosi impianti sportivi come invece è la parte che insiste e circonda il “vecchio” Comunale da sempre lo spazio sportivo cittadino.
Ma aggiunge anche un altro particolare: il fatto che i finanziamenti sono stati formalizzati da tempo e che il Comune “ha già iniziato le attività per il restyling dello stadio, spendendo fino ad ora oltre 8,5 milioni: 2,2 milioni per rilievi, modello Bim, indagini, concorso di progettazione e progetto di fattibilità; oltre 6,5 milioni per progettazione definitiva, servizio di verifica della progettazione, spese varie per istruttoria pratiche, saggi e sondaggi per verifica archeologica e bonifica bellica (queste ultime imputate ai fondi ottenuti in coerenza con i decreti di finanziamento e le convenzioni sottoscritte). Non proprio un forzare la mano, ma comunque un modo per esercitare forse una forma di pressione. Vedremo a questo punto gli sviluppi.