La musa ispiratrice e vedova di Giorgio Strehler torna dopo 15 anni a Firenze con una nuova lettura del celebre dramma di Ibsen. Con lei sul palcoscenico Gianluca Merolli, Giancarlo Previati e Fabio Sartor
Dopo più di 15 anni di assenza, Andrea Jonasson torna al Teatro della Pergola. La grande attrice, vedova e musa ispiratrice di Giorgio Strehler, è la protagonista di Spettri di Henrik Ibsen, in scena dal 7 al 12 febbraio nella nuova versione adattata da Fausto Paravidino e diretta da Rimas Tuminas. Interprete di rara limpidezza e intensità, Andrea Jonasson emoziona nel ruolo di Helene Alving, che abita un’allucinata campagna norvegese, resa grigia e stagnante da una pioggia battente come l’animo di tutti i personaggi: un luogo in cui il sole arriva inutilmente, sempre troppo tardi.
Siamo in una dimensione onirica, come se Helene, visitata costantemente dai suoi spettri, continuasse a rivivere – anni dopo i fatti narrati da Ibsen – gli stessi nodi, gli stessi contrasti: quelli minacciosi che per gran parte dell’esistenza ha nascosto, negato, soffocando i propri sentimenti in nome di un perbenismo di facciata. Ma – in un frantumarsi di illusioni – il suo sacrificio non vale a salvare nemmeno la felicità del suo unico figlio, Osvald, interpretato da Gianluca Merolli.
«I “fantasmi” – afferma il regista Rimas Tuminas – sono illusioni che le persone costruiscono a partire dalle proprie debolezze, glorifichiamo le nostre paure e lodiamo le effigi dei nostri carnefici. I “fantasmi” sono le menzogne che adottiamo e che trasmettiamo ai nostri figli. La verità è la cosa più difficile da rivelare e in questa versione di Spettri è ben rappresentato non solo il disvelamento dei segreti familiari, ma anche l’esternazione dei fantasmi che si nascondono e vivono dentro ognuno di noi. Le illusioni collassano, crudeli realtà vengono rivelate e l’immagine della famiglia ideale si frantuma, mostrando ciascun membro per quello che realmente è”.
Spettri, scritto nel 1881, rappresenta uno dei drammi più significativi di Henrik Ibsen, ed è considerato una commedia sociale, o più propriamente, un dramma borghese. che dà vita a un’intensa Helene Alving su una scena che è un continuo passaggio tra passato e presente, in cui personaggi reali e fantasmi si fondono come in un sogno. Helene è una ricca vedova, impegnata a perpetuare la memoria del marito, al cui nome si intitolerà un asilo. Dal suo dialogo con il Pastore Manders (Fabio Sartor) viene presto rivelato il vero volto di quel marito, corrotto e traditore. Helene in gioventù lo fuggì rifugiandosi fra le braccia del Pastore, che, però, la rifiutò in nome di un’ipocrita morale borghese.
Il figlio Osvald ha vissuto all’oscuro di tutto, ma rientra a casa da Parigi, dove ha capito di essere malato e destinato alla follia: la madre non può più nascondergli che la malattia, la sifilide, è un’eredità delle dissolutezze paterne. Anche l’ultima flebile luce nel plumbeo futuro di Osvald – un delicato sentimento per Regine Engstrand (Eleonora Panizzo), giovane cameriera di casa – si spegne davanti allo spettro del padre: la giovane è, infatti, frutto di una sua relazione e gli è dunque sorellastra. La rivelazione farà sì che Regine si riduca in un bordello, quella “Casa del marinaio” voluta da suo padre, il falegname Jakob Engstrand (Giancarlo Previati), zoppo dalla parte del “male”, cioè la sinistra, e che incarna il maligno. Mentre Osvald, travolto dalla follia, fra le braccia della madre – in una delle più celebri battute della storia del teatro – invoca il sole, forse a illuminare tutti quegli animi cupi e stagnanti.
Tutte le foto sono di Serena Pea