Domani al teatro di Rifredi. Non è un corso per panificatori e nemmeno una performance ma l’occasione per riscoprire un mestiere antico fatto di manualità, lentezza, attesa, gioia per il proprio operato raccontandosi e ricordando
Uno spettacolo che unisce farina, lievito e parole, per impastare storie come fossero pane e viceversa. Questo è “Crescente, il rito del pane”, il lavoro dell’attore e regista Tindaro Granata in programma domani, domenica 20 marzo alle 16 presso il Teatro di Rifredi (via Vittorio Emanuele II 303). Non è un corso per panificatori e non è una performance, ma la restituzione pubblica dell’omonimo laboratorio tenuto da Granata al mattino insieme a quattordici panificatori/narratori. Chi vorrà partecipare al workshop dovrà portare con sé mezzo chilo di farina, una ciotola, un cucchiaio di legno e un canovaccio: poi dovrà mettere per iscritto un breve testo che esplori il proprio rapporto col pane: un ricordo, un pensiero, un legame. Il risultato sarà un’esperienza profonda di creazione, durante la quale si diventerà protagonisti del tempo dell’impasto, “lievitando” parole buone come il pane per metterle poi, nel pomeriggio, a disposizione del pubblico (posti limitati, ingresso gratuito su prenotazione allo 055.4220361, accesso in sala con green pass rafforzato, mascherina Ffp2 obbligatoria, info su www.toscanateatro.it).
Parlare, scoprire, raccontare, confrontarsi, ridere, divertirsi, gioire, ricordare: questo è ciò che accade a chi decide di sperimentare l’antico Rito del Pane, dove la manualità dell’impasto di farine, acqua e “u criscenti” (il lievito madre) è l’occasione per diventare custodi consapevoli di un antico lavoro umano, che si ripete e si tramanda dai tempi dei tempi. Tindaro racconta la differenza tra il pane antico e quello moderno; l’origine del lievito e la sua gestione; parla delle farine antiche e di quelle di oggi. Si impasta insieme, si riscopre la grande intelligenza del nostro corpo nel riconoscere il proprio impasto e si pratica la lentezza del gesto del fare, l’attesa e la gioia di nutrirsi della propria opera d’arte, il proprio pane.