Da martedì 18 gennaio il grande attore porta in scena “Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro“, un esperimento “fantasmatico” da maneggiare con cura
Durante la prigionia parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa, si congeda. Moltiplica le parole sulla carta, appunta a mano, su fogli di block-notes forniti dai suoi carcerieri: lettere scritte e recapitate e lettere censurate, si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi disposizioni testamentarie.
Fino all’ultimo commovente e straziante messaggio inviato alla moglie Noretta quando ormai aveva intuito che non ci sarebbe stata una via d’uscita e che la reclusione sarebbe terminata con il suo assassinio. “Mia dolcissima Noretta, dopo un momento di esilissimo ottimismo […] siamo ormai al momento conclusivo. […] Bacia e carezza tutti per me, volto per volto, occhi per occhi, capelli per capelli. Sii forte mia dolcissima in questa prova assurda e incomprensibile. Sono le vie del Signore […]. Vorrei capire con i miei piccoli occhi mortali come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”. E insieme alle lettere, nella sua prigione del popolo, compone un lungo testo politico, storico, personale: il cosiddetto Memoriale, con le risposte e le considerazioni alle domande poste dai rapitori.
Al teatro della Pergola dal 18 al 23 gennaio prossimi Fabrizio Gifuni porta in scena “Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro” (martedì – sabato, ore 20.45; giovedì, ore 18.45; domenica 15.45). Un esperimento teatrale “fantasmatico” da maneggiare con cura a detta dello stesso attore che ha scritto e dirige la piece teatrale. Lo spettacolo si basa sul volume di Miguel Gotor, filologicamente aggiornato nel 2019, dedicato al carteggio dell’allora presidente della Democrazia Cristiana, barbaramente assassinato dalle Brigate Rosse dopo un sequestro avvenuto tra il 17 marzo e il 9 maggio 1978, quelli che sono stati più volte definiti come i 55 giorni che sconvolsero la vita di un intero paese e delle sue istituzioni: come non ricordare ad esempio la divisione tra chi voleva una trattativa con i brigatisti per salvare la vita allo statista Dc e chi invece si era schierato per l’intransigenza più assoluta che poi portò alla tragedia finale. Fabrizio Gifuni evoca il corpo Aldo Moro, uno spettro che ancora oggi occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre, attraverso la fitta corrispondenza di quei giorni e attraverso quel memoriale la cui storia meriterebbe un capitolo a parte: ritrovato in due momenti diversi e a distanza di anni in un appartamento di via Monte Nevoso a Milano prima dai reparti speciali dei Carabinieri comandati dal generale Dalla Chiesa il 1° ottobre 1978 (in parte) e poi l’8 ottobre 1990 dal capo della Digos di allora Achille Serra (con le aggiunte). A saltare subito agli occhi è la quasi corrispondenza del giorno e del mese dei ritrovamenti: una semplice coincidenza oppure un ulteriore mistero che si aggiunge ai tanti altri che 44 anni dopo su tutta la vicenda ancora non sono stati del tutto sciolti?
Gifuni sottolinea che “attorno a queste carte regna ancora un silenzio assordante. Soltanto alcuni storici non smettono di studiarle; insieme a loro pochi giornalisti e alcuni appassionati del caso Moro hanno cercato lì dentro la filigrana della più grande crisi della Repubblica”: una crisi che ha fatto imboccare all’Italia una direzione completamente diversa da quella che avrebbe potuto prendere, condizionandone fortemente le scelte le cui conseguenze continuano ancora a trascinarsi ai giorni nostri.
Tutte le foto che corredano l’articolo sono di Musacchio, Ianniello & Pasqualini