Una mostra a cura di Arcton, dal 19 marzo nel chiostro grande della Santissima Annunziata, e un volume di Andrea Fagioli fanno riscoprire la figura di uno dei più importanti sacerdoti della comunità cristiana fiorentina
Ci sono due foto molto diverse fra loro ma fortemente emblematiche che spiegano meglio di ogni altra cosa la vita e l’impegno di Renzo Rossi, prete di Firenze e cittadino del mondo. La prima in bici, davanti a don Cuba che arranca faticosamente, splendida metafora della difficoltà e nello stesso tempo della volontà di aiutare i derelitti, gli abbandonati, i dimenticati del mondo. La seconda al lavoro un giorno alle settimana dalla mattina alla sera per sistemare alla bell’e meglio le poverissime case di fango nelle favelas durante il suo periodo passato in Brasile. In queste due immagini così differenti c’è tutta la parabola di un sacerdote che si è trovato a vivere, prima nell’Italia del dopoguerra e poi in quella degli anni Cinquanta del Novecento, una serie di esperienze emozionanti e fortemente formanti: basti pensare a quando Rossi svolse attività pastorale nelle parrocchie periferiche della diocesi fiorentina e iniziò ad assistere i lavoratori del Gas di Rifredi e quelli delle Ferrovie di Porta a Prato. Oppure al 1965 quando avviò la missione della Chiesa fiorentina a Salvador Bahia. Con solo obiettivo: stare dalla parte degli umili, dei negletti, dei trascurati.
Il viaggio di don Renzo sulle strade degli ultimi, dalle periferie fiorentine a quelle dell’America Latina, è adesso riunito in 130 fotografie nella mostra Don Renzo Rossi. Prete di Firenze, cittadino del mondo, ospitata dal 19 marzo al 3 aprile nel Chiostro grande della Santissima Annunziata a Firenze (ingresso libero dal lunedì al venerdì con orario 12-18, il sabato e la domenica 10-18), e dal libro bello e documentato “Renzo Rossi, prete” (ed. Sarnus-Polistampa) del giornalista Andrea Fagioli, già direttore di Toscana Oggi e ora critico Tv del quotidiano Avvenire, che insieme a Piero Meucci, presidente di Archivi di Cristiani nella Toscana del Novecento, figura eminente e carismatica non soltanto del giornalismo fiorentino, hanno voluto raccontare i tantissimi episodi significativi dell’esperienza di don Rossi alla luce della grande quantità di lettere, diari, documenti e fotografie lasciate dal presule.
“Rossi – racconta Meucci – ci ha lasciato un’eredità di 30mila fotografie 743 diari, una quantità sconfinata di lettere. Da qui noi, come Associazione Archivi di cristiani nella Toscana del Novecento, abbiamo deciso di rendere omaggio a questo grande esponente della chiesa fiorentina: uno dei protagonisti della più bella e importante stagione della comunità cristiana fiorentina che è sempre stato dalla parte degli ultimi. Lui cercava sempre una spinta di evangelizzazione verso i poveri i più deboli e questa spinta lo portò a creare la missione di Salvador Bahia”.
I dodici grandi pannelli, curati anche da Carlotta Gentile, espongono foto scattate personalmente da don Rossi o da lui conservate nell’archivio depositato presso Arcton, e raccontano una storia che prende le mosse dagli anni della vocazione e del seminario per poi portare alle prime esperienze pastorali che saranno decisive per la sua formazione: l’amata Montelupo, Vicchio, Rifredi alla Pieve di Santo Stefano in Pane, Brozzi alla Pieve di San Martino. E poi ancora cappellano delle fabbriche prima di iniziare i suoi soggiorni in India, Mozambico e Brasile.
Fino al suo ritorno a Firenze, “prete provvisorio” come lui stesso si definisce, in diverse parrocchie fra cui le Piagge dove venne chiamato nel 2009 dal cardinal Betori a sostituire don Santoro che aveva celebrato un matrimonio fra due persone una delle quali diventata donna a seguito di un intervento chirurgico. Una bacheca infine, al termine del percorso, farà scoprire ai visitatori foto e documenti relativi al rapporto fra Rossi e Giorgio La Pira, oltre ad alcuni oggetti significativi dell’attività del prete fiorentino.
“Quello che mi ha colpito di più nello scrivere il libro – aggiunge Fagioli – è il suo essere prete fino in fondo: era un po’ il suo marchio, la sua firma. Lui ci teneva tanto ad essere prete. Aveva lasciato scritto che sulla tomba fosse indicato “sono sempre stato un prete felice, sono sempre stato felice di essere prete”. Ma lui non era clericale, anzi da buon fiorentino dava di bischero perfino ai cardinali. Era il suo modo di approcciarsi alle persone. Chi gli è stato più vicino ha ricevuto più volte di bischero e anche i nocchini perché aveva bisogno anche di questo contatto fisico. Poi è stato un giramondo: ha visitato 106 nazioni nei cinque continenti. Ha volato mille e una volta, ha girato tutta l’Italia in bicicletta. Ha visto 100 province, gliene mancavano solo quattro: Caltanissetta, Enna, Verbania e Nuoro; un personaggio insomma a tutto tondo”.